giovedì 22 maggio 2008

OCCORRE RIPARTIRE DAL MERITO E DAI PROGRAMMI di Sergio Belardinelli

("L'Occidentale") del 21 Maggio 2008

Scuola, università e ricerca scientifica – ormai lo dicono tutti - rappresentano la cartina al tornasole dello sviluppo di un Paese. Non c’è problema cruciale che in ultimo non passi di lì. Proprio per questo chi ne porta la responsabilità, vista la situazione in cui ci troviamo, è gravato di un compito che non esiterei a definire immane. Non starò a dire delle molte incrostazioni che in questi ultimi decenni hanno appesantito fin quasi alla paralisi un Ministero che, per le funzioni che ha, andrebbe considerato come un Ministero chiave al pari del Ministero degli affari esteri o di quello del tesoro. Mi soffermerò invece brevemente su alcune cose che ci si dovrebbe sforzare di fare subito, con particolare riguardo alla scuola e all’università. Si ha la sensazione che l’uscita di scena del Governo Prodi le abbia come risparmiate dal colpo di grazia; ma di certo non godono buona salute. L’università, per esempio, deve uscire al più presto dallo stato di catalessi in cui sembra essere piombata. Occorre fare in modo che la seconda trance dei posti da ricercatore già finanziata da Mussi venga bandita subito con il sistema di reclutamento vigente; lo stesso dicasi per i cosiddetti PRIN del 2008; se non vengono fatti partire immediatamente, c’è il rischio che la ricerca universitaria venga bloccata per un anno. Bisogna infine mettere mano ai sistemi di promozione e di reclutamento dei professori. Distinguo intenzionalmente tra “promozione” e “reclutamento”, poiché credo che un conto sia promuovere qualcuno, renderlo cioè “idoneo” a ricoprire un posto da professore, altro conto è che una università lo “recluti”, cioè lo assuma”. Si tratta in sostanza di rendere possibile al più presto la formazione di una lista nazionale di “idonei”, dalla quale le università possano attingere secondo le loro reali esigenze. Qualcuno dirà, giustamente, che al momento della finanziaria si dovrà soprattutto destinare all’università finanziamenti ben più consistenti di quelli attuali, oppure che, prima o poi, si dovrà mettere mano al problema del valore legale dei titoli di studio. Sono d’accordo. Intanto però mi sembra che i due o tre provvedimenti che ho sommariamente indicato possano rappresentare il segnale importante di una volontà di ripartire, di uscire dall’impasse, della quale c’è grande bisogno.
Più complesso e drammatico è il discorso per quanto riguarda la scuola. La cosiddetta “emergenza educativa”, nonché innumerevoli segnali, che fanno pensare addirittura a un collasso del sistema, sono ormai sotto gli occhi di tutti. E’ quindi difficile immaginare qualcosa da fare subito. Ma proprio per questo è urgente quanto meno lanciare alcuni messaggi, indicare alcune priorità. Intanto bisognerebbe mettersi in linea con gli obiettivi stabiliti nel 2000 dal Consiglio Europeo di Lisbona, incominciando magari con una battaglia più incisiva contro l’abbandono scolastico. I tassi di abbandono nella scuola secondaria italiana sono intorno al 20%, ben 5 punti e mezzo sopra la media europea. Sarebbe poi necessario creare davvero un secondo canale d’istruzione e formazione professionale che, con pari dignità rispetto ai percorsi formativi dei licei o degli istituti tecnici, sappia rispondere sia alle esigenze del mondo del lavoro, sia, soprattutto, alle esigenze di quei giovani che spesso vanno a incrementare i tassi di abbandono scolastico. Abbiamo poi il problema della riqualificazione e del rilancio della figura dell’insegnante. Non è immaginabile che la scuola funzioni con insegnanti mal pagati, demotivati, alle prese quotidianamente con riunioni spesso inutili e ai quali, poniamo, non viene più richiesto di aggiornarsi e di studiare. Altro capitolo importante è quello della libertà d’educazione in vista di una scuola che sia veramente “pubblica”. Come ha affermato di recente il Governatore della Banca D’Italia, Mario Draghi, occorre aumentare “la concorrenza tra gli istituti pubblici e privati, con modalità di finanziamento che da un lato premino le scuole migliori e dall’altro trasferiscano risorse direttamente alle famiglie per ampliarne le possibilità di scelta”. E’ insomma sul merito che occorre impostare o re-impostare la valutazione degli alunni, degli insegnanti e delle stesse scuole. C’è poi la questione scabrosissima dei programmi scolastici, ispirati per lo più a una pedagogia tanto presuntuosa quanto evanescente. Nella scuola primaria, ad esempio, credo che vada presa molto sul serio la volontà manifestata dal Ministro uscente Fioroni di ripristinare alcune evidenze educative fondamentali, quali lo studio della grammatica italiana, delle tabelline e della geografia. Certi contenuti educativi non possono essere sacrificati sull’altare delle metodologie di apprendimento o, peggio ancora, di “autoapprendimento”. Anche a rischio di apparire antiquato, aggiungo infine che non sarebbe male riproporre nelle nostre scuole l’importanza della disciplina come forma di rispetto di se stessi e degli altri e magari il ritorno al vecchio voto, spazzando via quegli stucchevoli giudizi che affannano insegnanti, genitori e alunni, senza che nessuno ci creda.
Su tutti questi temi che ho sinteticamente indicato (se ne potrebbero indicare molti altri) è importante dare subito qualche segnale di svolta. Se è vero, come dicevo all’inizio, che i problemi più importanti di ogni società passano in ultimo dalla scuola; se è vero altresì che di questo incominciamo ad essere tutti consapevoli, allora è tempo che a questa consapevolezza corrispondano comportamenti concreti da parte di famiglie, istituzioni e opinione pubblica. Non è più tempo di chiacchiere. Ne va addirittura della capacità dei nostri figli di sentirsi a casa in un mondo sempre più difficile, certo, ma anche sempre più ricco di opportunità. Se solo le sapessimo cogliere.

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