giovedì 10 luglio 2008

VALUTAZIONE, PARITÀ SCOLASTICA, LIBRI DI TESTO: TROPPE DOMANDE SENZA RISPOSTA

Si riparla di valutazione delle scuole e nelle scuole in due articoli di Enrico Lenzi su "Avvenire": I VOTI ALLA SCUOLA e L'ESEMPIO DEL TRENTINO. Come sempre colpisce, specie nel primo pezzo, la genericità delle proposte e la scarsa chiarezza sugli scopi dei diversi tipi di valutazione (dei docenti, dei progressi dell'allievo, del singolo istituto, del sistema nel suo complesso), senza mai accennare a qualche difficoltà messa in risalto dall'esperienza. Quella del Trentino viene illustrata in una conversazione con il professor Allulli. Vengono spiegate le tappe di un percorso ventennale: valutazione del sistema, autovalutazione delle scuole, sperimentazione di una valutazione da parte di tre esperti esterni (ma per ora l'hanno chiesta dodici scuole). Si ha l'impressione, però, che tutto questo, se può aver giovato al sistema e agli istituti (di cui manca però il parere) e in attesa di convincersi dell'attendibilità dei metodi usati, in nulla conferma le disinvolte affermazioni che via via si leggono sulla stampa: così le famiglie sapranno dove mandare i figli, così finanzieremo di più le scuole migliori, eccetera,
Trova spazio su "Avvenire" anche il "problema" dei libri di testo (scritto polemicamente tra virgolette, dato che in realtà non si capisce perché non si possano spendere per la cultura qualche centinaio di euro - salvo che in accertati casi di reddito molto basso - quando almeno altrettanti molte famiglie li sperperano in fesserie alla moda, cellulari accessoriati e via dicendo). L'articolo si intitola GELMINI, TETTO DI SPESA PER I LIBRI ALLE SUPERIORI.
Viene dunque estesa alle scuole superiori la normativa sui “tetti di spesa” per i libri di testo che vige da alcuni anni nella media inferiore. In poche parole, ciascun consiglio di classe non può far spendere ai propri allievi una cifra superiore a quella stabilita dal Ministero, con una tolleranza del 10% in più. Vuol dire che ha funzionato, dirà qualcuno; ma quali sono i dati che lo dimostrano? Ci dovrebbero dire, per esempio, se l’incremento annuale della spesa delle famiglie per i libri è stato inferiore a quelli registrati negli anni precedenti all’Importante Riforma, singolarmente condivisa da mercatisti e statalisti (questi ultimi più comprensibilmente). Nessuna attenzione poi a come concretamente funziona la faccenda. Cosa succede se si verifica uno sforamento? Chi fra i vari docenti deve rinunciare al proprio manuale preferito? E poi: visto che non si può cambiare un testo dopo la classe iniziale, come ci si regola, per esempio, in seconda e in terza media? E se più o meno tutti i libri di una materia hanno lo stesso costo? E via dicendo. La verità è che si tratta di una misura populista, di un provvedimento-manifesto di scarsissima utilità pratica, che provoca solo altri adempimenti burocratici. Tanto è vero che si cerca di rimediare in altro modo: con i "manuali digitalizzati" (che oltretutto non pesano negli zainetti). Il provvedimento sembra partire dal presupposto che in classe i libri non servano a molto, cosa del tutto falsa: almeno nelle medie spesso si legge una parte del testo, si spiega, si insegna a sottolineare le parti essenziali, si svolgono esercizi direttamente sul testo. Pare però che, su richiesta dei docenti, i ragazzi dovranno stampare le pagine necessarie. La spesa fissa di 9,90 euro per il testo elettronico verrà quindi dilatata da carta e inchiostri (costosissimi). E si può immaginare l'infinita varietà di scuse con cui gli allievi scansafatiche potranno giustificarsi: la stampante non funziona, internet era bloccato, ieri sera è terminata la carta... E poi quei fogli che volano, cadono, si disperdono per ogni dove... Auguri.
Infine su "Economy" , il business magazine di Mondadori, un intervento di Gianpiero Cantoni (Forza Italia) sulla parità e la concorrenza fra le scuole: SCUOLA PUBBLICA, MA AD ARMI PARI. Vi si riafferma tra l'altro "la sacrosanta libertà delle famiglie di scegliere un'educazione a misura dei propri figli". Scuole "di tendenza", quindi: la cattolica, la mussulmana, la padana. In teoria un sistema pubblico, articolato in scuole statali e in scuole non statali, è concepibile, purché tutti rispettino le stessissime regole, comprese quelle relative al reclutamento dei docenti. Ma nel sistema costituzionale italiano la libertà di insegnamento è garantita (un po' come l'indipendenza dei giudici) proprio dalla necessaria neutralità ideologica del sistema stesso; il che in pratica significa che non ci deve essere discriminazione tra i docenti in base al loro credo religioso o politico. Quindi i finanziamenti alle scuole paritarie sono illegittimi fino a quando esse potranno discriminare un docente se divorziato o ebreo o ateo.
Su questo punto si può leggere una delle interviste disponibili su internet al professor Carlo Marzuoli, docente di diritto amministrativo nell'Università di Firenze, per esempio LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO del 2003.
(G.R.)

Nessun commento: