mercoledì 30 dicembre 2009
ARRIVANO LE COMPETENZE, UN'ALTRA TEGOLA PER LA SCUOLA ITALIANA
Delle competenze come presunta chiave di volta della scuola abbiamo parlato più volte e ancora più spesso abbiamo dato la parola al professor Giorgio Israel, che sul punto è intervenuto con estrema severità, anche perché chi le magnifica sembra ignorare che il sapere e il saper fare sono da sempre parte, in diversa misura, di tutte le discipline. Infatti, scrive Israel, da sempre c’è “la consapevolezza che conoscere concetti non vuol dir niente se non si sa farne uso fino a riuscire a metterli in opera per risolvere problemi complicati”. Altrimenti, “si introduce l’idea assurda che l’acquisizione assolutamente passiva di concetti sia una forma di conoscenza”. Aggiungiamo che la misurazione delle competenze è difficilissima, come ammettono gli stessi esperti, i quali per giunta non sono neppure d’accordo sulla loro definizione (naturalmente, se per competenza ci si limitasse a intendere un saper fare direttamente legato a una professione - cosa sa fare un cuoco, cosa sa fare un elettricista - la cosa avrebbe senso).
Infine, l’insistenza sulle competenze si accompagna spesso alla svalutazione delle conoscenze disciplinari, viste come nozionismo o astrazione estranea alle nuove generazioni di “nativi digitali”. Accenniamo di sfuggita, solo per completare il quadro, al moltiplicarsi e sovrapporsi di terminologie affini (quali “abilità”,“capacità” e,appunto, “competenza”), del tutto ininfluenti sull’efficacia didattica.
Per il momento invitiamo i frequentatori del blog a dirci cosa ne pensano dopo aver letto l’elenco fissato dal ministero, che per lo meno è relativamente breve (e quindi non soddisferà molti pedagogisti) e limitiamoci a una previsione dettata dall’esperienza: la maggioranza dei colleghi considererà l’innovazione come l’ennesima, irritante e cervellotica imposizione dall’alto e cercherà di sbrigarla alla meno peggio e nel minor tempo possibile, come è accaduto in questi anni di “sperimentazione” (tra virgolette, perché non risulta che sia stato fatto un rilevamento di quello che ne pensano i docenti). Naturalmente questo si tradurrà in perdite di tempo e in ulteriore demotivazione e disorientamento, anche per il fatto di trovarsi a maneggiare due diverse scale di valutazione: i voti da 0 a 10 per le materie e i tre livelli più il “non raggiunto” utilizzato per le competenze. Ma nella scuola italiana, in cui l’esperienza non insegna, si fa così: si impongono degli obbiettivi finali nell’illusione che questo trasformerà a ritroso il modo di insegnare.
Possiamo dunque ragionevolmente concludere che l'introduzione delle competenze risulterà sia inutile che dannosa.
Quanto ai dettagli del modello proposto, alcuni dei quali francamente indecifrabili, converrà tornarci con una nota apposita.
GR
lunedì 28 dicembre 2009
"ADIO PUPA TIO AMATO". OVVERO: LA SCUOLA È POCO ESIGENTE IN FATTO DI LINGUA?
giovedì 17 dicembre 2009
FORMAZIONE PROFESSIONALE: FARE COME A TRENTO?
Chi volesse saperne di più sulle caratteristiche di questi percorsi nel Trentino, può leggere una guida orientativa preparata dall'assessorato alla pubblica istruzione.
(GR)
giovedì 10 dicembre 2009
UN APPROFONDIMENTO SULL'ABOLIZIONE DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI DECISA DALLA PROVINCIA DI TRENTO
sabato 5 dicembre 2009
IL SISTEMA A TRE GAMBE DEL TRENTINO: FORMAZIONE PROFESSIONALE, ISTITUTI TECNICI, LICEI
sabato 28 novembre 2009
UNO VOLTA TANTO C'È LO STATO DI DIRITTO: ANNULLATA LA SANATORIA DEL CONCORSO-SCANDALO
Molto positiva la decisione del Consiglio dei Ministri di annullare l'ultimo concorso ordinario per presidi svolto in Sicilia con modalità indegne di qualsiasi contesto storico-geografico europeo degli ultimi secoli. Come molti sanno, la commissione chiamata a valutare i candidati operò, se si vuol credere che abbia lavorato senza cedimenti alla più spudorata delle corruzioni, in modo che va al di là di qualsiasi senso di decoro e appartenenza alla stessa sfera civile. Basti pensare che alcuni vincitori del concorso, peraltro senza neanche rientrare tra gli ultimi classificati, si erano espressi nei loro compiti attraverso errori grammaticali d'inaudita gravità. Per buona parte delle varie fasi del concorso il presidente della commissione( la lettera minuscola non è casuale) è risultato latitante e molti lavori, se si tenesse conto dei tempi di correzione indicati dalla commissione stessa, furono corretti in non più di due-tre minuti. Avete capito bene: pagine e pagine di saggi e progetti( questo richiedevano le due prove scritte) corrette in pochissimi minuti. Bene, benissimo ha fatto la Gelmini ad impegnarsi affinché si cancellasse tale scandalo.
Ed è in virtù di questo risultato che ci permettiamo d'insistere su un altro aspetto scandaloso e legato anch'esso all'ultimo concorso. Come molti sanno, la polemica è comparsa questa estate (ce ne siamo ampiamente occupati anche nel nostro blog) grazie ad un documento dell'assessore all'Istruzione della provincia di Vicenza che denunciava come, con la solita manfrina del codicillo inserito all'interno di una legge finanziaria, l'ultima di Prodi, i concorsi a preside avevano improvvisamente assunto carattere nazionale e non più regionale, permettendo così a centinaia e centinaia di "fuori lista", di sistemarsi in quelle regioni del centro-nord, ove le commissioni d'esame, rispettando la legge, non avevano prodotto alcuna graduatoria aggiuntiva rispetto ai posti messi a concorso. Anche questa manfrina non è accettabile, soprattutto se riferita al mondo scolastico, quel mondo che, rivolgendosi ai nostri ragazzi, più di tutti ha la necessità di far capire che l'Italia non è il Paese in cui a vincere sono quasi sempre i più furbi. Confidiamo che il Ministro Gelmini si faccia carico di cancellare anche questa ingiustizia avallata, occorre ribadirlo, nel silenzio-assenso di tutte le sigle sindacali e professionali di categoria.
mercoledì 25 novembre 2009
GENITORI PICCHIATI DAI FIGLI
LA VALUTAZIONE DEGLI INSEGNANTI: UN ESEMPIO DAGLI USA
(GR)
lunedì 23 novembre 2009
UNO SPETTRO SI AGGIRA PER LA SCUOLA ITALIANA: LA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE
Ne ha scritto con la consueta efficacia di polemista il professor Giorgio Israel in un articolo sul “Giornale” di domenica 15 novembre (ora sul blog dell’autore), a cui è allegata una delle schede per la certificazione delle “competenze trasversali” che sono state “sperimentate” nelle scuole italiane (per leggerla - e ne vale la pena - bisogna ingrandirla agendo sui due tasti ctrl e +).
(Giorgio Ragazzini)
venerdì 20 novembre 2009
DOCENTI E PRESIDI CONTRO LE OCCUPAZIONI: UN RITORNO AD OBSOLETE FORME DI AUTORITARISMO?
di Sergio Casprini
In un editoriale in prima pagina del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, acuto osservatore della società italiana, coglie la novità nella scuola di un diverso atteggiamento da parte dei docenti e dei dirigenti scolastici nei confronti delle rituali manifestazioni di protesta degli studenti delle superiori, che si esprimono soprattutto con occupazioni ed autogestioni, interrompendo per un periodo non breve l’ordinato svolgimento dei corsi. Dopo anni di supina acquiescenza, in alcuni casi di implicito consenso, talora con la conferma autorevole dei responsabili del ministero (la proposta per esempio del ministro Berlinguer di autorizzare ogni anno una settimana di autogestione nelle scuole), finalmente si comincia a dire basta a queste forme di infantilismo politico, promosse per lo più da una minoranza di studenti contro il diritto allo studio della maggioranza dei loro compagni. E Battista nel suo articolo lo riconosce, anche lui consapevole dell’inutilità di questo rituale di proteste che di in anno in anno si ripete e non produce alcun risultato, anzi frustra anche gli stessi studenti contestatori. Però alla fine del suo editoriale, quasi contraddicendosi, mostra un atteggiamento di maggior comprensione verso gli studenti, i quali evidenziano un disagio ed un malessere nel loro stare a scuola, a cui va data una diversa risposta, che non sia “di rancore e di appello all’ordine da parte degli insegnanti”.
Va riaffermato invece quel principio di autorità (non di autoritarismo!) che dal’68 in poi era stato messo in discussione e che solo negli ultimi tempi comincia ad essere praticato (e lo diciamo senza alcun timore di passare da reazionari): il ritorno al voto di condotta, la verifica settembrina del recupero dei debiti, la revisione dello statuto degli studenti, le iniziative contro il bullismo. Le prese di posizione di questi giorni contro le occupazioni sono appunto il frutto di un clima diverso nelle scuole, ove il rispetto delle regole, il senso di responsabilità per lo studio cominciano a valere com’è giusto che sia. Se ai primissimi segni di una ritrovata fermezza da parte di presidi e docenti si teme che la scuola si “abbandoni al rancore” contro gli studenti, ciò significa avere un'idea molto vaga degli ultimi decenni, che hanno visto gli insegnanti spogliati (e spogliarsi) del loro fondamentale ruolo di guida. Se poi come chiede Battista bisogna ritrovare un “senso alla scuola, in cui gli studenti possano sentirsi parte decisiva e centrale”, sarebbe già tanto se si recuperasse il Dna della scuola italiana, in cui il rigore dei saperi disciplinari ed il riconoscimento dei meriti nello studio garantiscano una vera partecipazione alla vita scolastica e costituiscano il lievito di una vera crescita democratica degli studenti.
Sempre dal "Corriere della Sera" di oggi, la situazione del "fronte antioccupazioni" in un servizio di Fabrizio Caccia e Annachiara Sacchi.
"La Stampa" dà invece largo spazio alla sentenza di un tribunale canadese, che in seguito a una battaglia legale deì genitori di due ragazzi, li ha liberati dal dovere di fare i compiti. Sacrosanto il sarcasmo con cui Paola Mastrocola commenta da par suo la vicenda sulla prima della "Stampa". (GR)
giovedì 19 novembre 2009
OCCUPAZIONI: CHE SI COMINCI A RAGIONARE?
lunedì 16 novembre 2009
venerdì 6 novembre 2009
CONVEGNO AFFOLLATO E GRANDE INTERESSE PER IL RILANCIO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
Nella sua relazione, Vagnoli ha condotto un’appassionata e applauditissima difesa della formazione professionale come alternativa di pari dignità all’istruzione. Più tardi, tirando le conclusioni del convegno, ha proposto di avviare in via sperimentale, fin dal primo anno delle superiori, dei percorsi di formazione professionale all’interno di un certo numero di istituti professionali. Forse, ha aggiunto, i più adatti a questa sperimentazione sarebbero gli Istituti alberghieri, per l’alto livello dei loro risultati e per l’importanza che il settore riveste in tutta la Toscana.
mercoledì 4 novembre 2009
ANCORA SUL CONVEGNO DI DOMANI A FIRENZE
martedì 3 novembre 2009
LA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO "OBBLIGO SCOLASTICO E FORMAZIONE PROFESSIONALE"
Leggi il comunicato diramato dalla Provincia al termine dell'incontro.
mercoledì 28 ottobre 2009
OBBLIGO SCOLASTICO E FORMAZIONE PROFESSIONALE
Firenze, giovedì 5 novembre 2009, ore 15-19
AUDITORIUM OSPEDALE DEGLI INNOCENTI
Piazza SS. Annunziata
Con il patrocinio della Provincia di Firenze, Assessorati all'Istruzione e alla Formazione
SALUTI
GIOVANNI DI FEDE
Assessore all’Istruzione Provincia di Firenze
ELISA SIMONI
Assessore alla Formazione Provincia di Firenze
CESARE ANGOTTI
Direttore Generale Ufficio Scolastico Regionale
RELAZIONI
VALERIO VAGNOLI
Obbligo scolastico: più opportunità = più uguaglianza
ROSARIO DRAGO
Obbligo scolastico e formazione professionale nelle esperienze delle regioni italiane
DIBATTITO E CONCLUSIONI
Sono previsti interventi di esponenti del mondo del lavoro, di agenzie formative, di dirigenti scolastici e insegnanti.
Sarà presente il dott. ELIO SATTI, Dirigente del Settore Istruzione e Educazione della Regione Toscana
La Regione Toscana ha scelto, diversamente dalle altre regioni, di limitare tale assolvimento al solo canale dell’istruzione (cioè licei, istituti tecnici e professionali), pur con il correttivo di attività di orientamento e laboratoriali, destinate ai ragazzi più in difficoltà.
Spesso sono delusi nelle loro aspettative da una scuola che riserva uno spazio troppo limitato al “fare”, cioè al tipo di apprendimento più gratificante perché più vicino ai loro interessi e alle loro attitudini. Tutto questo suggerisce un’ulteriore riflessione su questa scelta.
Noi pensiamo che sia necessario offrire ai ragazzi, fin dal primo anno delle superiori, la possibilità di percorsi di istruzione / formazione professionale.
Siamo convinti che l’obbiettivo di creare le condizioni di una maggiore uguaglianza sia più concretamente perseguibile dando ai ragazzi anche questa opportunità, che non insistendo su una tendenziale uniformità del percorso scolastico.
L’obbiettivo di questo convegno è appunto quello di essere un momento di riflessione e di approfondimento su questi temi, in cui poter avere, tra l’altro, una maggiore conoscenza delle esperienze in atto altrove e un confronto con i responsabili della Regione Toscana, che abbiamo invitato a intervenire.
Gruppo di Firenze
giovedì 22 ottobre 2009
CHE FINE HA FATTO IL MERITO?
Uno dei sedici firmatari dell'appello "Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità", da noi promosso nella primavera del 2008, fa il punto sugli obbiettivi di quell'iniziativa a oltre un anno e mezzo dalla sua presentazione. Proprio su questo punto ci aveva sollecitato nei giorni scorsi il collega Vincenzo Pascuzzi con un parere molto critico e un invito a esprimerci in merito. Ci riserviamo di farlo nei prossimi giorni.
Premetto che la mia risposta viene scritta a titolo del tutto personale, non avendo collegamenti organici con il Gruppo di Firenze, del quale ho peraltro condiviso l’appello, perchè ritengo che promuovere tutti, senza verificare l’effettiva acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie per progredire nello studio ed entrare nel mondo del lavoro, sia la peggiore truffa che si possa perpetrare proprio ai danni di coloro che non hanno altri mezzi per emergere che le loro capacità personali.
Se uno studente proveniente da un ambiente “protetto” viene promosso senza avere una reale preparazione, la famiglia lo metterà comunque in grado di accedere ad una decorosa posizione nel mondo del lavoro. Se invece uno studente proveniente da una famiglia svantaggiata esce con una scarsa preparazione troverà sicuramente molti problemi ad inserirsi nel mercato del lavoro, anche a dispetto del diploma posseduto. Se, infine, manca una selezione basata sul merito l’unico criterio per l’affermazione sociale sarà quello del ceto familiare. Prova ne sia che l’Italia (v. Rapporto Fondazione Montezemolo) è il Paese con il più basso indice di mobilità sociale.
In che modo è stato messo in pratica questo appello al merito, apparentemente condiviso dal Ministro?
La mia impressione è che la preoccupazione prevalente del Ministro Gelmini sia stata quella di contenere le risorse pubbliche. Questo ovviamente non è di per se né pro né contro il merito, ma il modo in cui è stato fatto non ha tenuto conto delle caratteristiche e delle specificità delle diverse situazioni. Se si parla di merito bisogna anche avere la capacità di distinguere, di separare, di valutare le diverse situazioni sia quando si danno risorse aggiuntive, sia quando si tolgono. Ad esempio il mensile “Tuttoscuola” aveva messo in luce moltissimi squilibri territoriali sui quali si poteva intervenire per razionalizzare l’uso delle risorse, eliminando aree di privilegio e salvaguardando quelle di maggiore fabbisogno. Questo non mi sembra che sia stato fatto.
Un forte accento è stato poi posto sui voti, e sul modo in cui determinano la carriera scolastica. Personalmente ritengo che sia giusto essere chiari e rigorosi nei criteri di promozione, ed evitare facili buonismi, però il ritorno al rigore non deve essere inteso come semplice movimento pendolare, del tipo “finalmente si torna a bocciare”. Il buonismo non nasceva solamente dal lassismo, ma era anche l’effetto, probabilmente semplicistico, della consapevolezza dell’insufficienza degli strumenti esistenti per valutare i ragazzi e per sostenere il loro percorso scolastico.
L’indagine Pisa ci dice, ad esempio, che esiste una bassa relazione tra risultati dei test e voti di profitto; in alcune scuole si boccia molto, in altre meno. Al Sud si assegnano voti più alti che al Nord. Qual è il criterio in tutto questo? Nel momento in cui si vuole tornare a dare più importanza al voto (giusto) bisogna anche sostenere l’esercizio del voto per renderlo il più possibile strumento non casuale di giudizio. E questo non mi sembra che sia stato fatto; non è cosa che si possa fare in un giorno, od in un anno, mi rendo conto, ma non riesco a vedere neanche le premesse.
Un sistema che vuole introdurre il merito non deve mirare solo all’anello più debole della catena, ai ragazzi, ma deve creare un ambiente condiviso di attenzione ai risultati, in cui tutti si assumano le proprie responsabilità, ed anche questo non solo manca ma neanche viene messo in moto. Manca ad esempio ancora una strategia relativa al Servizio nazionale di valutazione, al di fuori della distribuzione di test a campioni di studenti scelti all’interno di scuole volontarie; come dire siamo sempre all’anno zero. Non si parla di valutazione esterna degli istituti, di indicatori di performance, di riforma del corpo ispettivo, ecc.
Sia chiaro, non voglio fare del benaltrismo. Da qualche parte bisogna anche cominciare, e potrebbe anche andare bene cominciare dai voti; tuttavia bisognerebbe nel frattempo mandare almeno alcuni segnali che mostrano che si vuole affrontare il problema in modo più ampio, e questi segnali ancora non li vedo.
domenica 18 ottobre 2009
LUOGHI COMUNI E REALTÀ SU OCCUPAZIONI E DINTORNI
1. L’occupazione, certo, non è in sé un fatto positivo, ma per i ragazzi costituisce un importante“rito iniziatico”.
Purtroppo nella maggioranza dei casi le occupazioni risultano deludenti per gli studenti che vi prendono parte e comunque diseducative, perché non si scontrano con interlocutori solidi e non ottengono in genere nulla, quando non creano danni gravi (vedi articolo su quelle fiorentine).
2. È giusto che attività politiche o manifestazioni studentesche abbiano luogo regolarmente nell’orario scolastico (e pazienza se vi partecipa solo una minoranza e gli altri vanno a casa).
Le iniziative degli studenti potranno essere prese sul serio dall’opinione pubblica quando si svolgeranno di pomeriggio e non faranno perdere ore di lezione. Sarebbe d’altra parte una scelta fondamentale di politica scolastica quella di favorire l’associazionismo studentesco in orario extrascolastico come luogo di crescita culturale e civile, che costituirebbe una reale alternativa alle occupazioni e alle autogestioni.
3. In nome della democrazia si possono tollerare cortei non autorizzati (per non parlare di quelli autorizzati) anche se paralizzano il traffico di un’intera città.
Sarebbe altamente educativo - oltre che doveroso - che a nessuna manifestazione politica, studentesca o no, fosse consentito di ledere i diritti di altri.
4. Non essendo l’Italia uno Stato di Polizia, è ovvio che se un preside chiama la forza pubblica, perché gli studenti impediscono di fare lezione, quest’ultima di solito non venga neppure o, se arriva, si produca tutt’al più in paterne raccomandazioni.
Leggi, forze dell’ordine, magistratura, dirigenti scolastici dovrebbero convergere nel far capire ai ragazzi quali sono i loro doveri accanto ai loro diritti.
5. Per promuovere il senso di responsabilità e prevenire vandalismi e altri comportamenti antisociali è prioritario lo studio dell’educazione civica o il seguire qualche progetto di “educazione alla legalità”.
Alle regole si educa prima di tutto facendole sempre rispettare. Solo così si è credibili anche nell’ora (senz’altro utile) di “educazione alla cittadinanza”.
Da qualche anno la scuola - prima con Fioroni, poi con la Gelmini - sta facendo dei passi avanti (non senza errori e incertezze) sulla via del rigore e della responsabilità. Troppi adulti, purtroppo, e fra questi non pochi insegnanti, si attardano in presunte trincee antiautoritarie, abdicando in sostanza al compito di dare degli autentici punti di riferimento alle nuove generazioni.
(GR)
martedì 6 ottobre 2009
MERITO: LA SCUOLA NON PUÒ PROMUOVERLO DA SOLA
RESPONSABILITÀ (CIVILE): AI DOCENTI L'ONERE DELLA PROVA
lunedì 5 ottobre 2009
FRANCIA: SOLDI ALLE CLASSI CONTRO LA CATTIVA CONDOTTA E L’ASSENTEISMO (CHE IN ITALIA È PRATICAMENTE LEGALIZZATO)
In attesa di ulteriori chiarimenti, va notato che in Italia l’assenteismo è in pratica legalizzato: l’anno si perde soltanto con oltre cinquanta giorni di assenza comunque motivata, cioè un quarto dell’anno scolastico (dl 19.2.04, art. 11, comma 1); e naturalmente ogni scuola può oltrepassare questo limite, stabilendo autonomamente “motivate deroghe” per “casi eccezionali”.
Poiché i messaggi di serietà si danno in tanti modi e le piccole riforme sono spesso più efficaci delle “grandi”, perché non ridurre drasticamente questo “bonus” a un massimo del 10% (circa venti giorni), con possibilità di superarlo, entro certi limiti, solo dietro certificazione medica?
Leggi l’articolo di cronaca e il commento di Eraldo Affinati.
(GR)
mercoledì 16 settembre 2009
GIORGIO ISRAEL: "SI CERCA DI FABBRICARE IN PERFETTA MALAFEDE UN CAPRO ESPIATORIO"
Ebbene, nei giorni scorsi il professor Giorgio Israel è stato indicato su un blog come l’eminenza grigia delle leggi scolastiche di questo governo e il principale responsabile anche delle sofferenze dei docenti precari. Gravissimo poi è che sia stato prima qualificato come “l’ebreo Israel” e poi accostato a Marco Biagi, in quanto anche lui “puparo” di una riforma, quella del lavoro, per cui le Brigate Rosse decisero di assassinarlo. Di questo attacco intimidatorio e antisemita Israel scrive oggi sul “Giornale”, cominciando col precisare che la commissione sulla formazione dei nuovi docenti da lui presieduta non c’entra un bel nulla con il problema del precariato, che semmai contribuirà a prevenire attraverso l’istituzione del numero programmato nell’accesso ai percorsi universitari che abiliteranno all’insegnamento.
Va anche di nuovo sottolineato, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, che se la principale responsabilità dell’odissea dei precari ce l’hanno più o meno tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi decenni (interessi clientelari e scuola come ammortizzatore sociale) con l’evidente connivenza dei sindacati, una notevole influenza l’hanno avuta proprio i gruppi politici e sindacali di estrema sinistra. Che riuscirono a imporre negli anni settanta i corsi abilitanti non selettivi, in cui quasi ovunque si evitò il sia pur minimo accertamento sulla preparazione disciplinare e metodologica dei docenti. E che successivamente continuarono a battere sul “diritto al lavoro”, contando sul perpetuarsi delle sanatorie e senza preoccuparsi delle conseguenze a lungo termine.
martedì 8 settembre 2009
QUALCUNO FARÀ AI NOSTRI RAGAZZI UN DISCORSO COME QUELLO DI OBAMA?
Pubblichiamo alcuni passaggi particolarmente importanti dell'ampio estratto apparso su La Stampa.it. Il corsivo è nostro.
Ora, io ho fatto un sacco di discorsi sull’istruzione. E ho molto parlato di responsabilità. Della responsabilità degli insegnanti che devono motivarvi all’apprendimento e ispirarvi. Della responsabilità dei genitori che devono tenervi sulla giusta via e farvi fare i compiti e non lasciarvi passare la giornata davanti alla tv. Ho parlato della responsabilità del governo che deve fissare standard adeguati, dare sostegno agli insegnanti e togliere di mezzo le scuole che non funzionano, dove i ragazzi non hanno le opportunità che meritano. Ma alla fine noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità. Andando in queste scuole ogni giorno, prestando attenzione a questi maestri, dando ascolto ai genitori, ai nonni e agli altri adulti, lavorando sodo, condizione necessaria per riuscire. [...]
Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così fondamentali. E non avrete necessariamente successo al primo tentativo. È giusto così. [...]
Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando. Non sei mai un grande atleta la prima volta che tenti un nuovo sport. Non azzecchi mai ogni nota la prima volta che canti una canzone. Occorre fare esercizio. Con la scuola è lo stesso. Può capitare di dover fare e rifare un esercizio di matematica prima di risolverlo o di dover leggere e rileggere qualcosa prima di capirlo, o dover scrivere e riscrivere qualcosa prima che vada bene. La storia dell’America non è stata fatta da gente che ha lasciato perdere quando il gioco si faceva duro, ma da chi è andato avanti, ci ha provato di nuovo e con più impegno e ha amato troppo il proprio Paese per fare qualcosa di meno che il proprio meglio.
Leggi tutto il testo pubblicato dalla Stampa on line.
lunedì 7 settembre 2009
PRECARI: LE GRAVI RESPONSABILITÀ DI POLITICA E SINDACATI
Siamo all’inizio dell’anno scolastico, di un anno in cui dovrebbe definirsi il quadro della tanto attesa riforma delle superiori e nello stesso tempo dovrebbero andare in vigore le nuove norme di formazione e reclutamento dei docenti, contestualmente all’approvazione di una legge sulla carriera degli insegnanti con una diversa articolazione di figure professionali; e tutto questo passa in secondo piano a fronte dell’annosa questione dei precari della scuola, che hanno occupato le pagine dei giornali con le loro mobilitazioni in tutta Italia.
Nessuno può negare la gravità del problema di docenti ormai attempati che di anno in anno inseguono il miraggio del posto fisso nella scuola. Per decenni le politiche scolastiche sono state influenzate più dal mito della piena occupazione della “forza lavoro intellettuale” nella scuola e da convenienze clientelari che dall’intento di perseguire la qualità della formazione dei giovani. Un mito non a caso nato negli anni settanta nella sinistra politica e sindacale, ostile al merito e alla necessaria selettività nella formazione e nel reclutamento dei nuovi docenti e incline a confondere il piano della didattica e delle sue necessarie riforme con il piano del diritto al lavoro. Come accadde ad esempio con la riforma dei moduli nella scuola primaria, con cui venne spacciata per grande innovazione didattica (il modulo dei tre maestri in una classe) l’assunzione di molte migliaia di nuovi docenti.
Quanto ad alcune forme di protesta che i precari hanno messo in atto, così come alcune di quelle dello scorso anno contro la riforma Gelmini, continuo ad essere del parere che il fine non giustifica i mezzi, se si vuole rivendicare non solo il lavoro, ma anche la dignità e la responsabilità della professione docente.
giovedì 3 settembre 2009
NOTE SUL GOVERNO DELLA SCUOLA - 3. Organismi studenteschi
(Giorgio Ragazzini)
giovedì 13 agosto 2009
RICOLFI E ISRAEL SU COPIÒPOLI
martedì 11 agosto 2009
COPIÒPOLI: URGE UN'ETICA PROFESSIONALE PER I DOCENTI ITALIANI. E PIÙ CONTROLLI
A quanto pare, la "cortese richiesta" (sic) di non aiutare gli allievi durante le prove Invalsi per l'esame di terza media non ha prodotto grandi effetti e si è dovuto ricorrere a complicate procedure correttive per avere un quadro verosimile dei risultati. Gli aiutini hanno imperversato nel meridione, ma non si può dire che ne sia immune il resto della penisola (leggi). I colleghi hanno qualche attenuante. Non è stato certo un caso che nei decenni passati nessuno abbia mai parlato agli insegnanti (né durante la loro formazione, né dopo) di etica professionale. Il rigore non è mai stato ben visto dalla cultura buonista che ha guidato la scuola dagli anni '70. Sui principi e sulle regole si può chiudere un occhio, complice l'endemico mammismo mediterraneo, quando si tratta di "aiutare" un povero ragazzo. Con questo allenamento pregresso, si arriva alle prove Invalsi, dalle quali si teme che la propria scuola possa venire, se non proprio penalizzata, quanto meno messa in cattiva luce.
In molti Stati occidentali, invece, esistono da tempo i codici deontologici, che elencano gli impegni fondamentali di ogni docente verso gli studenti e le loro famiglie, verso i colleghi e verso la professione. Sarebbe ora che anche da noi se ne cominciasse almeno a discutere, dando modo al mondo della scuola di rendersi meglio conto di quali siano veramente "il bene dei ragazzi" e l'interesse della collettività; e che comportamenti del genere tolgono qualsiasi credibilità al sistema istruzione, comunque riformato e attrezzato, e gli impediscono di funzionare. Per ora prendiamo atto che alla vicenda viene dato un certo risalto sui giornali, anche se nessuno sembra essersi scandalizzato. Solo il presidente di TreeLLLe Attilio Oliva parla apertamente di "etica", oltre che della necessità di controlli e di sanzioni. In altri commenti prevale ancora un linguaggio fra l'eufemistico e l'indulgente. Per esempio, chi fa copiare o suggerisce ha "atteggiamenti opportunistici". E poi, spiega una rappresentante dell'Invalsi, "non si vuole colpevolizzare nessuno. I dati non sono un'accusa nei confronti di ragazzi e docenti: sono un tentativo di innescare comportamenti virtuosi". E infine il Presidente dell'Istituto: " È comprensibile che ci siano insegnanti che cercano di aiutare gli studenti che hanno seguito per tre anni".
sabato 8 agosto 2009
NOTE SUL GOVERNO DELLA SCUOLA - 2. Dal volontarismo alla competenza
Questa concezione volontaristica improntata all’impegno e alla sensibilità sociale, pur apprezzabile, non è più sufficiente. Si tratta di avere chiaro che, come i membri del Consiglio di amministrazione di una qualsiasi azienda di una certa complessità, i docenti eletti in quello che nell’Aprea 2 si chiama “Consiglio di indirizzo”, devono avere quanto meno delle attitudini specifiche, distinte da quelle che servono per insegnare, e assumersi pienamente le responsabilità relative al loro ruolo, a partire da una assidua presenza alle riunioni del Consiglio. Oltre a un incentivo economico (gettone di presenza), che però di per sé non porta necessariamente a un innalzamento della qualità, l’avere svolto per alcuni anni il ruolo di membro del Consiglio potrebbe costituire titolo utile per possibili “sviluppi di carriera”, ad esempio diventare docente senior (per restare nell’ambito del pdl Aprea) o dirigente. In una disposizione del genere chi ha attitudini di carattere organizzativo e progettuale potrebbe trovare un incentivo a candidarsi. In alcuni casi potrebbe essere opportuno organizzare per i nuovi eletti brevi corsi di formazione sulle competenze dell’organismo di cui sono entrati a far parte. (GR)
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mercoledì 5 agosto 2009
NOTE SUL GOVERNO DELLA SCUOLA - 1. Insegnanti e genitori
In altre parole: non si prende atto dell’esaurimento (o meglio del fallimento) del modello di partecipazione nato negli anni ’70, non si provvede all’indispensabile professionalizzazione del governo delle scuole e per di più si rimane al di fuori di una corretta visione delle responsabilità decisionali nella scuola pubblica. Fino a oggi, che si sappia, a nessuno è mai venuto in mente di far presiedere gli ospedali alle associazioni dei consumatori, né a metter sullo stesso piano tecnici e utenti nei consigli di amministrazione.
Su quest’ultimo punto è opportuno leggere almeno qualche riga di un saggio di Carlo Marzuoli, docente di diritto amministrativo nell’Università di Firenze (L’istituto scolastico autonomo in Istruzione e servizio pubblico, Il Mulino):
"Le pubbliche amministrazioni hanno il potere e la responsabilità di operare nell'interesse pubblico e detto potere e responsabilità debbono rimanere in capo all'amministrazione. [...] I diritti di conoscenza e di partecipazione procedimentale, che danno agli interessati [genitori e studenti] la possibilità di far valere il loro punto di vista, le loro esigenze, ecc., contribuiscono a una migliore possibilità di tutela di tali interessi, a completare l'insieme degli elementi di cui l'amministrazione deve tener conto, a rendere più trasparente e controllabile l'amministrazione. Al tempo stesso, non pregiudicano il potere e la responsabilità dell'amministrazione, la quale rimane pur sempre, dopo aver tutti ascoltato e tutto valutato, l'unica responsabile della decisione".
Nel nostro sistema i titolari del governo della P.I. e quindi anche della scuola devono essere designati “con le forme del sistema politico-rappresentativo (organi politici) o del merito tecnico-professionale accertato con procedure pubblicistiche”, come appunto succede (o dovrebbe succedere) per dirigenti e docenti. Un Consiglio di Indirizzo in cui si creasse una presenza consistente o addirittura una maggioranza di genitori (o di genitori e studenti), il criterio dell’interesse pubblico (e in un certo senso lo stesso carattere pubblico della scuola) non potrebbe considerarsi pienamente rispettato. (GR)
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sabato 1 agosto 2009
DALL’APREA 1 ALL’APREA 2 IL PASSO... È INDIETRO
Le recenti polemiche sulla proposta leghista di test sulla conoscenza dei dialetti hanno messo in secondo piano il fatto che quel testo, su cui la Commissione Cultura ha a lungo discusso e su cui lo scorso inverno c’erano state tantissime audizioni (tra cui quella del Gruppo di Firenze), è stato profondamente cambiato e secondo la nostra opinione in peggio. In sintesi ecco le nostre principali obiezioni al nuovo testo.
L’attuale Consiglio d’Istituto nell’Aprea 1 si chiamava “Consiglio di Amministrazione” e la sua composizione veniva in pratica affidata alla discrezionalità dei singoli Istituti, cosa che non può dare alcuna garanzia di buon governo. Nell’Aprea 2 il “Consiglio di indirizzo” (come ora si chiama), conferma invece quasi del tutto l'inadeguato assetto vigente: rappresentanza paritaria di docenti e genitori, a uno dei quali va di nuovo la presidenza del Consiglio, mentre nella versione precedente del DdL questo ruolo toccava giustamente al Dirigente Scolastico. Inoltre negli istituti superiori si dovrà garantire anche una rappresentanza degli studenti, quindi genitori e studenti sarebbero in numero maggiore rispetto ai docenti. Noi pensiamo che il criterio della “partecipazione paritaria” debba essere superato, perché certamente i rappresentanti di genitori e studenti devono svolgere una fondamentale funzione di controllo e di garanzia, ma il governo di un istituto scolastico autonomo, con le nuove e delicatissime responsabilità che il progetto gli assegna, esige un'adeguata competenza e una piena responsabilizzazione dei membri del Consiglio, che a genitori e studenti non possono per forza di cose essere richieste.
Inoltre, ciliegina sulla torta, il Consiglio di Indirizzo redige il Piano dell’offerta formativa che da sempre è stato uno dei compiti fondamentali del Collegio dei docenti.
Anzi, in questo nuovo disegno di legge il Collegio dei docenti non esiste più, sostituito dai dipartimenti di aree disciplinari e interdisciplinari, i quali ovviamene avranno un ruolo solo esecutivo rispetto alle indicazioni didattiche deliberate dal Consiglio di indirizzo in cui i docenti, come si è visto, hanno un minor peso politico, in senso professionale e culturale.
Eppure l’ispirazione iniziale con cui l’Aprea aveva presentato nel 2008 questo disegno di legge era stata quella di ridare al docente prestigio professionale, anche attraverso la creazione di un’area contrattuale autonoma degli insegnanti, obiettivo storico delle associazioni professionali contro le prevaricazione dei sindacati della scuola.
In questa nuova versione del DdL il principio dell’autonomia contrattuale è rimasto, ma con la mancanza di un ruolo più significativo dei docenti nel governo della scuola non ha più la stessa importanza. Aggiungiamo la contemporanea sparizione dal Ddl degli organi di rappresentanza professionale a livello regionale e nazionale, che nell’Aprea 1 dovevano “garantire l'autonomia professionale, la responsabilità e la partecipazione dei docenti ... alle decisioni sul sistema educativo”, per misurare l'entità del passo indietro sul terreno di una decisiva valorizzazione della funzione docente.
(Sergio Casprini)
giovedì 30 luglio 2009
È PIÙ CLASSISTA LA SCUOLA MINATA NELLA SUA "AUCTORITAS"
mercoledì 29 luglio 2009
ANCORA SUI PRESIDI DAL SUD
Intanto Giovanni Belardelli critica severamente chi ha gridato allo scandalo per l'ordine del giorno vicentino: Lo spauracchio del razzismo per allontanare la verità.
LA SCUOLA CHE MENTE E INGANNA SÉ STESSA
Il collega Vincenzo Pascuzzi ci invia un lungo testo intitolato Merito, rigore, scrutini finali e voto di consiglio. Quando la scuola mente e inganna se stessa, in cui esamina (peraltro dopo aver premesso di non credere alla "terapia del rigore") "uno snodo, temporale e decisionale, di importanza fondamentale nella vita della scuola: gli scrutini finali di giugno", descrivendo, con riferimento alla propria esperienza nelle scuole superiori, "come essi vengono preparati, gestiti, quali sono gli attori, le parti che recitano sulla scena e dietro le quinte". Pubblichiamo le parti essenziali di questa che potremmo anche chiamare "fenomenologia della valutazione finale".
In genere e in quasi tutte le scuole, gli scrutini intermedi, che avvengono a gennaio-febbraio (se sono quadrimestrali), hanno uno svolgimento semplice e tranquillo: ogni docente mette i suoi voti, si discute della classe, dei singoli alunni, dei programmi e di qualche episodio o situazione particolari, si fanno alcuni confronti all’interno della classe e anche complessivi. [...] Ci sono poi dei colleghi o colleghe che, già all’inizio dell’anno, spontaneamente ti confidano la loro disperazione in relazione ai non-apprendimenti nella loro disciplina. Più o meno: “Non sanno niente, non stanno attenti, non seguono, non fanno i compiti, non portano libri e quaderni, … Ma quest’anno non sarà come l’anno scorso, eh, no! Non mi faccio più fregare, eh, eh, quest’anno boccio, boccio!”. Ciò avviene verso ottobre-novembre, magari in occasione del 1° pagellino. Effettivamente questi colleghi o colleghe arrivano al primo quadrimestre con votacci a chi merita. Poi, già verso marzo-aprile, sfuggono, evitano di parlarti e anche di salutarti e poi – quasi per miracolo - te li ritrovi allo scrutinio finale con quasi tutte le loro insufficienze sanate! [...]
Ma veniamo agli scrutini finali di giugno che decidono su promozioni, bocciature, sospensioni di giudizio. A volte il/la preside inizia i lavori esordendo: “nell’altra classe, appena scrutinata, non abbiamo bocciato nessuno!” oppure “solo uno che però non veniva mai, ritirato di fatto”. Chiunque capisce che questo è un robusto … aperitivo del cosiddetto “buonismo”. Poi lo scrutinio prosegue col definire le situazioni individuali che hanno numerose e gravi insufficienze: oltre sei o sette insufficienze – in genere ma non sempre - non c’è scampo, gli alunni vengono bocciati. Intorno alle cinque o sei insufficienze, indipendentemente dalla loro gravità, si comincia a discutere a confrontarsi. Non si parte dalle indicazioni del Collegio ma dall’opportunità di bocciare l’alunno con riferimento (in genere sotto traccia) alla consistenza numerica della classe. I riferimenti, gli appigli possono essere i più vari: dalle capacità e potenzialità possedute ma non espresse, alla situazione familiare disastrata, all’ipotesi dell’eventuale abbandono della scuola, a minimi miglioramenti di profitto o comportamentali,… insomma non è affatto raro (anzi!) che di sei o cinque insufficienze, due o tre vengano tranquillamente condonate e le altre diventino debito per settembre. Debito formale cioè con esito positivo in genere scontato (al 95%). Così in una classe, in cui la metà doveva essere sicuramente bocciata, solo due o tre alunni vengono respinti. Di conseguenza, si manda rinforzato un chiarissimo messaggio per l’anno scolastico successivo: non serve studiare! Da decenni, la scuola (alunni, docenti, presidi) e le scuole sono come prigioniere di un “vortice” perverso senza speranza e possibilità di poterne uscire! Ogni anno si raccolgono i frutti indigesti o velenosi dell’anno prima e si seminano quelli per l’anno dopo! Al di fuori delle scuole (cioè USP, USR, Miur ma anche partiti, sindacati, associazioni, media) questa situazione o non è percepita o non interessa (oppure fa comodo?). Nello svolgimento degli scrutini, lo strumento che, che viene usato in modo improprio e perverso, che mantiene e alimenta il “vortice” detto è il voto di Consiglio. Questo – a mio giudizio – trova la sua ragion d’essere o nei confronti di singoli (o rari) alunni con difficoltà vere e per loro insormontabili in qualche disciplina o per rimediare l’eccessiva severità di singoli (o rari) docenti. Invece l’uso del voto di Consiglio è adesso massiccio, eccessivo, generalizzato, è diventato un abuso. Le scuole ne sono diventate dipendenti come se fosse una droga! Anzi spesso il voto di Consiglio non viene nemmeno formalizzato. Per fare prima si chiede, si impone ai docenti di modificare direttamente loro le valutazioni insufficienti inizialmente proposte come se le avessero messe con leggerezza, per capriccio, dispetto, errore. Nulla compare nei verbali! È la scuola che mente e inganna se stessa!
domenica 26 luglio 2009
IL VERO SCANDALO DI VICENZA
La mozione pressoché unanime del Consiglio Provinciale di Vicenza, che invita ad escludere i presidi di altre regioni (ma in realtà, e capiremo perché, solo quelli meridionali) dai posti di dirigente vacanti in quella provincia, è pienamente condivisibile; e non si tratta, analizzati i fatti, di uno scandaloso comportamento razzista. Lo scandalo c’è, eccome, ed è di una sconcertante gravità; ma a darlo sono stati ben altri soggetti che non i consiglieri vicentini, che evidentemente non si arrendono al travolgimento della legge che perdura senza rispetto in questo Paese.
Alla base della loro decisione, come ha spiegato con molta chiarezza su vari organi d’informazione l’assessore alla Pubblica Istruzione di quella provincia, vi è lo sdegno per come si sono comportate diverse commissioni d’esame in occasione dell’ultimo concorso per dirigenti scolastici (indetto nel 2004 e completato esattamente due anni fa) e per come sono andate successivamente le cose. Oltre ad essere a carattere regionale, il bando prevedeva in modo preciso e prescrittivo che in ogni regione si rendesse idoneo un numero di concorrenti pari al numero dei posti a disposizione più una riserva del dieci per cento, in modo da poter coprire eventuali nuove sedi resesi libere, sempre a livello regionale, nei due anni successivi. Se in molte regioni italiane le Commissioni d’esame hanno rispettato la legge, procedendo tra l’altro ad una selezione senza precedenti, in altre regioni (spiace dirlo, ma esclusivamente del Sud), le commissioni hanno fatto superare l’esame, oltre al numero previsto per legge, anche ad altre centinaia e centinaia di concorrenti, dichiarati idonei, ma con poche speranze d’essere nominati nei due anni successivi al concorso. Niente paura, però; grazie anche alla sponsorizzazione dei sindacati, in testa l’Associazione Nazionale Presidi, si è trovato il modo di far approvare dal governo Prodi una leggina che permette ora a queste centinaia di persone di poter essere nominate sull’intero territorio nazionale, quando nelle regioni in cui la legge è stata rispettata si siano esaurite le graduatorie. L’ingiustizia è evidente e quindi la protesta pienamente fondata: non c’entra nulla l’essere meridionali, c’entra l’essere stati indebitamente favoriti. Una deroga al numero di idonei previsto dal bando di concorso avrebbe dovuto essere eventualmente autorizzata in ugual misura in tutte le regioni, in modo da non creare una così grave discriminazione. Non per nulla molto probabilmente in Sicilia il concorso venga annullato per le gravissime e palesi irregolarità.
Che i sindacati si siano dati tanto da fare per sponsorizzare tanta nefandezza è, dal loro punto di vista, più che spiegabile: centinaia di nuove tessere sindacali hanno un valore enorme, perché possono essere determinanti, per esempio, nella contrattazione nazionale relativa ai contratti dei presidi e di quant’altro che li riguardi. Altro che il merito!
Meno comprensibile, invece, che politici e commentatori anche autorevoli, come ad esempio Miriam Mafai, parlino, a proposito della posizione presa dalla provincia di Vicenza, di razzismo e apartheid nella scuola. Evidentemente non si sono informati in proposito. Certo, un titolo come Scuola, in Veneto presidi della nostra terra, lanciato in prima pagina dalla “Padania”, cavalca strumentalmente la faccenda in chiave etnica. Ma qui si tratta di stato di diritto, non di etnia e tanto meno di apartheid. E sarà bene che il governo e il parlamento ristabiliscano in questa vicenda un minimo di equità, se non si vuole fomentare proprio quell’intolleranza che tanto si stigmatizza a parole.
[La notizia dell'ordine del giorno della provincia di Vicenza è stata data da "Repubblica" giovedì 23 luglio ed è poi stata ampiamente ripresa e commentata nei giorni seguenti su altri quotidiani]
giovedì 23 luglio 2009
RISPETTO DEI FATTI E LUOGHI COMUNI
Sempre sul quotidiano torinese, quasi come in risposta a Veronesi, si può leggere oggi un editoriale di Luca Ricolfi (La scuola ha smesso di insegnare). Anche Ricolfi, come Rossi Doria, invita a partire dalla realtà dei fatti, anche se risulta politicamente scorretto, e conclude la sua analisi affermando che “la scuola facile si è ritorta innanzitutto contro coloro cui doveva servire: un sottile razzismo di classe deve avere fatto pensare a tanti intellettuali e politici che le «masse popolari» non fossero all’altezza di una formazione vera, senza rendersi conto che la scuola senza qualità che i loro pregiudizi hanno contribuito ad edificare avrebbe punito innanzitutto i più deboli, coloro per i quali una scuola che fa sul serio è una delle poche chance di promozione sociale.”
sabato 18 luglio 2009
NON FA MALE RIPETERE UN ANNO
A questo proposito, sulle pagine dei giornali di oggi va anche segnalato il bel discorso del presidente Obama ai neri d'America, in cui li esorta ad assumersi per l'appunto la responsabilità del proprio destino e in particolare a puntare sull'impegno nello studio per riscattarsi dalla loro condizione: "Crescere in quartieri poveri non è una giustificazione per prendere brutti voti a scuola, nessuno ha già scritto il vostro destino per voi". Sarebbe importante che lo spirito di questo discorso fosse fatto proprio con convinzione anche dal mondo della scuola italiana.
Giorgio Israel sul "Messaggero" ripropone la necessità di valorizzare il merito nella scuola anche attraverso la competizione e rivendica il ruolo del buon senso, seguendo il quale un modesto aumento delle bocciature non è il fallimento della scuola, ma un segno che quest'ultima non è defunta e reagisce.
Infine va segnalato anche, a completare il quadro di chi vede una svolta positiva nel maggior rigore delle valutazioni, l'intervento di Enrico Musso sul "Secolo XIX": Chi ha paura della scuola fondata sul merito.
giovedì 16 luglio 2009
E IL PRESIDE DISSE: MA PROFESSORESSA, COPIARE NON È UN REATO...
“Mi è capitato di essere contestata dagli alunni di una classe perché durante i compiti in classe facevo una sorveglianza troppo attenta, impedendo loro il rituale passaggio di biglietti e sbirciatine sui libri di testo e sui temari. In quell'occasione fui richiamata dal preside il quale tenne a precisarmi che non è un reato copiare il compito da un compagno più bravo e che dovevo instaurare un clima di collaborazione e di maggiore distensione durante le prove di verifica”.
Ogni commento - come suol dirsi - è superfluo. O forse no.
Leggi tutto il testo.
martedì 14 luglio 2009
ACCADE ANCHE IN ITALIA: LA LEGGE È LEGGE
venerdì 3 luglio 2009
LA BOCCIATURA: "UN SADISMO INUTILE"?
mercoledì 1 luglio 2009
MA QUANTO CI COSTA PROMUOVERE CHI NON LO MERITA?
Ma quanto sono costati al paese decenni di lassismo, cioè di svalutazione del merito, dell’impegno, della serietà? Quali danni hanno inferto all’economia, al livello dei servizi e delle professioni, non meno che all’etica pubblica? Quanto, infine, hanno occultato le insufficienze della scuola?
Intanto anche su “Sussidiario.net”, il quotidiano on line vicino alla Compagnia delle Opere, si discute sull’aumento delle bocciature. Sul numero di oggi (martedì 30 giugno, anche se questa nota viene pubblicata dopo mezzanotte) Giancarlo Tettamanti (Essere bocciati è un male per i ragazzi? Peggio il buonismo…) risponde a Giovanni Cominelli (Bocciare: a cosa serve?) ricordando che nessuna riforma delle scuola e della didattica potrà mai azzerare le responsabilità di un ragazzo riguardo ai suoi risultati scolastici.
lunedì 29 giugno 2009
LE PROPOSTE DELLA FONDAZIONE AGNELLI SULLA VALUTAZIONE E LA RETRIBUZIONE DEGLI INSEGNANTI
domenica 28 giugno 2009
BOCCIATURE COME OPPORTUNITÀ: UNA RISPOSTA AI COMMENTI
Prendo spunto dai commenti al mio intervento E se la bocciatura fosse un’opportunità? sulle bocciature per chiarire alcuni temi.
Quando parlo di permanere, nel nostro sistema scolastico, di modelli seicenteschi, non intendo riferirmi soltanto alla lezione frontale che giustamente uno degli intervenuti difende come strumento didattico dal quale non si può ancora prescindere (salvo vederla propinata per sei-sette ore di seguito anche da parte di docenti di materie tecniche-professionali che richiederebbero, invece, ben altre strategie didattiche). Seicentesco, nel nostro sistema scolastico, è anche il permanere del modello esclusivo della classe al posto di una organizzazione per gruppi di livello o modulare o per classi aperte, come ad esempio nel modello finlandese. Seicentesca, inoltre, è l’organizzazione dello studio, che andava benissimo per una scuola elitaria; meno per una scuola come la nostra.
In uno degli interventi si sottolinea, giustamente, come le scuole italiane siano strutturalmente inadatte a sperimentare nuove strategie didattiche. È vero, tuttavia anche l’esclusività dell’organizzazione in classi contribuisce a non stimolare i responsabili dell’edilizia scolastica ad investire in modo da rivoluzionare strutture e strumentazioni delle scuole di ogni ordine e grado.
Accade, invece, che edifici scolastici possano essere ricavati (succede in alcune grandi città del sud) anche da appartamenti per civili abitazioni collocati al quarto e quinto piano di palazzoni anonimi e tristi per le stesse famiglie che vi abitano, figuriamoci per dei bambini o per degli adolescenti.
Una scuola ove il ruolo della “classe” - nelle scuole superiori - finisse per essere marginale o per scomparire del tutto costringerebbe gli Enti locali a ripensare gli edifici scolastici. Ovvio, tuttavia, che le scuole dovrebbero essere belle e funzionali a prescindere da questo, ma da noi così non è. Ripenso al mio ultimo viaggio in Francia, alla bellezza di gran parte dei suoi edifici scolastici. Scuole di provincia pensate come una sorta di piccolo villaggio con spazi verdi e sportivi da far impallidire i nostri centri sportivi più alla moda. Mense e laboratori pensati per una scuola che risponde a ben altre dinamiche rispetto alla nostra ancora troppo ancorata al passato. Qualcosa vorrà pur dire se negli ultimi anni il meglio del cinema e della narrativa francese ruota intorno al tema della scuola mentre da noi, salvo rarissimi casi (e tra questi è doveroso annoverare l’alzata di scudi dei 16 intellettuali firmatari dell’appello a favore del merito e della responsabilità), siamo rimasti a qualche film macchiettistico, a Mio figlio professore, a Terza B facciamo l’appello e a Io speriamo che me la cavo, oltre ovviamente la solita, oggi retorica, Lettera a una professoressa.
Per quanto concerne i rilievi a proposito della responsabilità della scuola sulle bocciature e quanto poco si faccia per recuperare i meno bravi, rimando all’intervento dell’amico Giorgio Ragazzini.
sabato 27 giugno 2009
IL BUONISMO SI CONFERMA TRASVERSALE: ANCHE PER "FARE FUTURO" LE BOCCIATURE SONO UN FALLIMENTO DELLA SCUOLA
Commento. Il buonismo, come abbiamo sempre detto, pur avendo elaborato i suoi assiomi nell'humus catto-comunista, è poi diventato trasversale e si radica nel carattere italico, mammone e nutrito di colpa e indulgenza tridentine. Tiene a bada la realtà con le astrazioni: chi sono infatti "i bocciati"? Sarebbe utile che qualcuno (adattissimo Giorgio Dell'Arti) sciorinasse davanti ai nostri occhi qualche decina di identikit. Verrebbe forse fuori che una parte non ha potuto scegliere una scuola superiore a lui congeniale per colpa del mito della scuola uguale per tutti che ha squalificato la formazione professionale; qualcuno, partendo da una situazione culturalmente svantaggiata, non si è effettivamente visto offrire tutto l'aiuto che gli era necessario; e che la maggioranza dei bocciati, guardandosi intorno e vedendo andare avanti chi lo non meritava, aveva concluso: "Anche se non studio, mi promuovono lo stesso". (GR)
mercoledì 24 giugno 2009
VALUTAZIONE DEI DOCENTI: SÌ, MA NON "ALLA BERCHET"
Alla valutazione dei docenti, ai metodi da usare e agli obbiettivi da porsi abbiamo più volte dedicato riflessioni o riportato contributi di altri. Dovremo tornarci. Sarà bene però, anche alla luce di questo episodio, che gli insegnanti si rendano conto che la non-valutazione è un privilegio indifendibile e si decidano a rivendicare il diritto di dire la loro in proposito, in particolare sull'efficacia dei metodi e sull'appropriatezza degli obbiettivi.
Leggi anche il commento di Isabella Bossi Fedrigotti.
martedì 23 giugno 2009
INDAGINE OCSE: L'INDISCIPLINA FRENA L'APPRENDIMENTO
L'acronimo TALIS - così si chiama la ricerca - in italiano si scioglie come "Insegnamento e creazione di ambienti di apprendimento efficaci".
La necessità di una scuola più esigente sotto tutti i punti di vista, e in modo particolare rispetto all'impegno e al comportamento, ne esce quindi pienamente convalidata. E' sperabile che nelle prossime indagini il problema venga approfondito, per esempio correlando statisticamente i risultati paese per paese con il livello di serietà richiesto agli studenti dal sistema scolastico. E' indispensabile anche un grosso sforzo per rendere disponibili in tutte le scuole tutti i tipi di qualificate consulenze che l'emergenza richiede. Infine: a quando i primo corsi di aggiornamento sulla condotta? Leggi l'articolo.
venerdì 19 giugno 2009
E SE LA BOCCIATURA FOSSE UN'OPPORTUNITÀ?
Finalmente, viene da dire, il re è nudo, perché dietro all’aumento delle bocciature si può intravedere una scuola nuova che inizia finalmente a dare segni di vita, a fare fino in fondo il proprio dovere, cominciando a trovare il coraggio di prendersi responsabilità che da anni, in generale, non era in grado di prendersi.
Questi dati confermano, anziché il fallimento della scuola, come molti pensano e dichiarano, il vero scandalo durato fin troppo a lungo: quello di aver promosso generazioni di studenti in nome del buonismo o del quieto vivere o per i più svariati timori, non ultimo quello dei ricorsi. Insomma, contrariamente ai molti allarmismi che imperversano un po’ da tutte le parti per i risultati di quest’anno scolastico, mi provo ad andare controcorrente e giudico di buon auspicio quanto è avvenuto. Penso, insomma, che dovremmo rassicurare le famiglie, anche dei bocciati, facendo loro capire che stanno inequivocabilmente per finire i tempi squallidi del diploma “pezzo di carta” da spendere grazie alle raccomandazioni di varia natura, non ultime quelle di stampo clientelare e politico. Non mi dilungo sulle dinamiche economico-sociali che cancelleranno certo costume tipico più di un paese da operetta che non di una nazione che dovrà, oggi più che mai, misurarsi sul piano della competitività e di un’economia sempre più legata alla conoscenza. Mi preme, invece, ricordare e ripetere che solo una scuola in grado di valorizzare il merito può rappresentare un vero ascensore sociale per chi non può contare su clientele o radici familiari fin troppo ramificate nel mondo dei privilegi. Per troppo tempo si è identificato il successo scolastico come patrimonio da distribuire equamente a tutti, impedendo così che si diffondesse, soprattutto tra le famiglie più svantaggiate e povere, la consapevolezza di quanto, invece, proprio la scuola sia importante per ribaltare la loro condizione, spesso storicamente consolidata grazie a chi dalla scuola aveva e continuava ad avere i mezzi e gli strumenti per diventare classe dirigente. Solitamente per molti gruppi politici e per molte delle sigle del sindacato scolastico, la qualità della scuola la si è voluta vedere piuttosto sulla quantità (numero esoso delle materie con corrispondente elevatissimo numero dei docenti, orari scolastici lunghi e tempi della didattica ancora organizzati secondo modelli, non è un’esagerazione, seicenteschi) che non sulla sua qualità: guai a parlare di verifica dei risultati, di valutazione dei docenti e dei dirigenti e via di seguito. Ogni minimo accenno ai principi del pragmatismo da applicare anche al sistema scolastico era ed è ancora oggi esecrato più di quanto don Milani esecrasse i giovani operai del Mugello che alla domenica si mettevano la cravatta. L’irrisione nei confronti delle tre “i” ha contribuito a tener fuori dalla modernità chissà quanti figli di chi con il computer, l’inglese e tanto più con l’impresa, non aveva e non ha niente da spartire. Eppure sono molti i politici e i sindacalisti contrari alle tre “i” che hanno accortamente fatto studiare i loro figli negli Stati Uniti o nelle migliori università italiane ed europee.
Ma torniamo alla bocciatura. Ovvio che non sia una bella cosa ed altrettanto ovvio che si debba fare di tutto per rimuovere qualsiasi ostacolo che impedisce ai più svantaggiati di godere dei frutti straordinari che una buona scuola può dare. Ma se non bocciare rappresentava, come per certi insegnanti ancora rappresenta, una lotta contro le ingiustizie “di classe” o più banalmente ignavia o superficiale senso di bontà o ancora paura di affrontare le reazioni dei genitori, ben venga questo aumento di bocciature. Può rappresentare finalmente una svolta, un salutare scossone per chi alla scuola ha finito con l’assuefarsi senza dare o attendersi nulla, siano essi docenti, famiglie o studenti.
Do per scontato che la scuola debba formare, prima ancora della classe dirigente, dei buoni cittadini, liberi e appagati innanzitutto dalla loro cultura e dal loro senso critico. Anche per questo trovo che sia esecrabile vedere nella bocciatura solo un’esclusione, una sconfitta per la scuola e non un’occasione per aiutare il maggior numero possibile di giovani a diventare, a tutti gli effetti, dei cittadini degni di questo nome.
"REPUBBLICA" DEI BOCCIATI
L'occhiello del richiamo in prima pagina recita: "Aumentano i respinti e i non ammessi agli esami. L'Ocse critica l'istruzione italiana". In questo modo si suggerisce che lo faccia per questo inizio di maggiore severità, mentre si tratta di tutt'altro, come si scopre nell'interno: "I livelli di apprendimento degli studenti sono tra i più bassi, troppi gli insegnanti, demotivati e mai valutati. Le strutture scolastiche sono vecchie e non dispongono di laboratori moderni. Anche la valutazione degli studenti lascia a desiderare". Delle bocciature non si occupa, né "Repubblica" è sfiorata dal sospetto che i bassi livelli di apprendimento possano avere a che fare
con le promozioni facili dispensate in questi anni (ma anche in questi giorni, purtroppo).
Quasi tutti negativi i commenti raccolti, con tutto il repertorio della colpevolizzazione ultradecennale di quegli insegnanti che non ritengono giusto trattare allo stesso modo chi studia e chi no. Leggi l'articolo di Maria Novella De Luca.
Da aggiungere, infine, alla lista degli interventi contrari anche un pezzo di Ilvo Diamanti su Repubblica.it, in cui si mescola di tutto e di più.