domenica 1 febbraio 2009

L’OBBLIGO SCOLASTICO IN TOSCANA NON È SEMPRE DALLA PARTE DEGLI STUDENTI

di Valerio Vagnoli

Come molti sanno, a differenza di altre regioni, tra cui l’Emilia Romagna, la Toscana costringe gli studenti ad ottemperare all’obbligo scolastico fino ai sedici anni solo all’interno del percorso dell’istruzione, escludendo categoricamente la possibilità che questo possa avvenire anche nei percorsi della formazione professionale.
Finché l’obbligo scolastico era limitato ai quindici anni, era almeno possibile inserire gli studenti, su richiesta delle famiglie e degli studenti stessi e in virtù di una precisa attività di orientamento, in percorsi integrati scuola-lavoro dopo il primo anno delle superiori. Ora, invece, per loro l’attesa è diventata biennale, con conseguenze a dir poco disastrose per chi non ha assolutamente alcuna intenzione di continuare con la scuola.
La prima, tragica conseguenza è che quest’anno, a differenza degli scorsi anni, sono letteralmente scomparsi dal mio istituto una ventina di studenti. Alcuni di questi si erano reiscritti, dopo la bocciatura in prima dell’anno scorso, con l’intento di inserirsi a metà anno nel percorso integrato che da anni, e con esiti solitamente straordinari, la scuola stava portando avanti. Non appena saputo che per poterli frequentare avrebbero dovuto aspettare d’aver compiuto i sedici anni, si sono dileguati. A dire il vero alcune ragazze ogni tanto si fanno vive, per affetto o forse per ingannare la loro noia di giornate passate a zonzo o davanti alla televisione. Di altri non so più nulla. Ovviamente ad ogni ragazzo che scompare fanno seguito tutte le iniziative che la scuola deve portare avanti con puntualità burocratica e, soprattutto, con convinzione pedagogica e umana, tese a convincere gli studenti a tornare a scuola, ma da quest’anno il compito è abbastanza arduo. Tengo a specificare che dagli incontri con le famiglie emerge alla fine una rassegnata condivisione delle scelte dei loro figli, che davanti ai genitori e al sottoscritto rivendicano la loro attesa per inserirsi in percorsi formativi maggiormente imperniati sulle attività pratiche. Impossibile da dimenticare l’analisi profondamente pedagogica di un padre artigiano, impossibilitato a gestire la ribellione e la frustrazione del figlio costretto dalla legge regionale a vagabondare per un paio di anni nella scuola, quando invece (parole del padre) avrebbe potuto utilizzare questi anni cruciali anche per l’apprendimento delle competenze di base di un “ mestiere” , per imparare il lavoro artigianale del nonno.
Alla fine, in aggiunta alla ventina di ragazzi scomparsi dalle aule scolastiche, vi è una sorta di evasione scolastica legalizzata: quella, cioè, di famiglie che optano per una sorta di compromesso nei confronti dei loro figli. Accettano, per non avere noie, che la loro frequenza sia saltuaria e ai limiti della non classificazione, fino al giorno in cui questi compiranno il sedicesimo anno di età per poi andarsene, finalmente in grado di poter frequentare percorsi integrati di qualunque natura essi siano, purché il trovarsi dietro un banco scolastico diventi per loro una situazione marginale rispetto all’attività pratica.

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