lunedì 29 novembre 2010

URGE UNA PEDAGOGIA DELL'ATTENZIONE

Molti allievi, a tutti i livelli dell'istruzione pubblica, denunciano difficoltà più o meno accentuate nell'ascolto e nella concentrazione in genere. Del problema si parla da molti anni. Se si chiede a un insegnante quale sia attualmente il maggiore ostacolo all'apprendimento, molto probabilmente comincerà con questo.
Le spiegazioni più comuni sono l'eccessiva sollecitazione sensoriale, la troppa tv, la scarsa abitudine alla fatica e all'impegno, un'educazione poco esigente a scuola e in famiglia. Naturalmente c'è chi propone come panacea la "didattica laboratoriale". Ma se la scuola attiva ha ancora molto da dire in proposito soprattutto per il primo ciclo, è pur vero che la capacità di seguire un discorso (magari prendendo appunti) e di studiare per tutto il tempo necessario deve essere comunque coltivata per tempo, anche se gradatamente.
È indispensabile quindi definire e diffondere una "pedagogia dell'attenzione" - fondata su ricerche e studi, ma anche sulle esperienze positive degli insegnanti - che supporti con indicazioni adeguate sia la scuola che le famiglie nel promuovere l'attenzione e la concentrazione nei bambini. Sarà un contributo quanto mai prezioso non solo per il loro successo negli studi, ma anche per la loro formazione complessiva.
A questo tema Francesco Alberoni dedica oggi una riflessione nella sua rubrica Pubblico&Privato sul "Corriere della sera".

(Giorgio Ragazzini)

giovedì 25 novembre 2010

CODICE PATERNO E PRINCIPIO DI REALTÀ

In un articolo sul “Corriere della Sera” (I “no” che i padri devono saper dire), Paolo Di Stefano torna sulla crisi della figura paterna, che non è iniziata certo ai giorni nostri, dato che già nel 1963 la preannunciava lo psicoanalista Alexander Mitscherlich in Verso una società senza padre. La questione non è però confinata tra le mura domestiche. Si tratta della necessaria presenza nella società del principio (o codice) paterno accanto, e non contro, a quello materno, altrettanto necessario. Sono quindi in causa tutti gli altri ruoli educativi e gli insegnanti in particolare, il modo in cui la collettività nel suo complesso pensa alle nuove generazioni, la legalità come cardine del vivere civile.
Nella scuola domina largamente il codice materno, legato alla protezione e all’accudimento. E questo solo in parte per la netta prevalenza numerica delle donne, dato che, come ricorda Di Stefano, esistono per l’appunto molti “mammi” e non poche donne “con i pantaloni” (si diceva un tempo).
Il problema ricorrente delle occupazioni è stato quasi sempre risolto - o meglio accantonato - in modo “materno”: comprensione, indulgenza, larvata o aperta complicità, strizzatine d’occhio. Ma per crescere, specie a una certa età, si ha bisogno anche - e sempre più - del padre, anche dello scontro con adulti che il conflitto generazionale lo sostengano con fermezza ed equilibrio, senza inutili asprezze, ma senza rifuggire all'occorrenza dalla sanzione, come possono fare un insegnante o un preside consapevolmente "paterni". Ci si oppone, ci si differenzia, ci si definisce, si sperimenta la responsabilità. Magari utilizzando creativamente una varietà di modi, invece di ripetere all’infinito lo stesso copione, come nel rassicurante mondo infantile. Lo sottolinea molto efficacemente uno dei commenti alla nota precedente, firmato da Enio:

I nostri ragazzi liceali avranno mezzi legali per manifestare il loro pensiero e far conoscere il loro dissenso su qualunque tema talenti loro? A iosa! Hanno i blog, i gruppi di discussione, l’assemblea di classe mensile, quella di istituto; possono diffondere volantini, comunicati alla stampa, petizioni al Parlamento, al Governo, al Presidente della Repubblica. Possono chiedere supplementi di studio ai professori di storia, di filosofia, di lettere. Possono stendere testi, manifesti tazebao, pamphlet, aprire siti, costruire reti on line, manifestare e tenere cortei in forma autorizzata al di fuori dell’orario di lezione. Troppo facile. Bisogna invece ripetere ogni anno stancamente il rito dell’occupazione della propria scuola, prendersi un periodo sabbatico dalle lezioni, perché, sia chiaro, studiare affatica. Si diventa pallidi e assorti... Meglio bivaccarci nella scuola, organizzando goliardate, talvolta innocue, altre volte dannose. [...] L’indulgenza di mamma e papà è scontata: sono ragazzi, è un rito di iniziazione all’età adulta…

L’iniziazione, invece, era un incontro non più protetto con la realtà adulta: impegno, fatica, rischio, scelta consapevole, anche sofferenza (i riti di passaggio richiedevano preparazione, coraggio, spesso stoicismo). E a fare i conti con la realtà invita i giovani lo psicanalista Claudio Risé in un intervento sul “Mattino”. Non per caso l’autore è un teorico della rivalutazione del padre (Il padre assente inaccettabile, Il mestiere di padre). Invece di inseguire a tutti i costi il mito della laurea, spesso foriero di disoccupazione prolungata, bisogna valorizzare l’elasticità e la capacità di adattamento della mente giovanile, prendendo in considerazione altre vie per realizzarsi, per esempio l’artigianato, “storicamente importantissimo per la civiltà italiana e dotato di grandi possibilità per il futuro”.

GR

lunedì 22 novembre 2010

CASO “MICHELANGELO”: LA PRESUNTA ONNIPOTENZA DEL “DIALOGO”

In una nota su questo blog del 21 ottobre scorso (Occupazioni: al "Michelangelo" di Firenze un preside fa il suo mestiere) commentavamo la decisione del Dirigente di un liceo classico fiorentino di denunciare una ventina di studenti responsabili di effrazione, danneggiamento e furto all’interno dell’edificio scolastico e informavamo di aver diffuso un comunicato stampa di sostegno al preside, professor Primerano. Se ne riparla in questi giorni sulle cronache locali a partire da un corteo studentesco del 17 scorso, dal quale, durante una sosta davanti al “Michelangelo”, sono stati lanciati fischi e insulti all’indirizzo del dirigente, mentre sui muri venivano incollati volantini e scritti epiteti come “boia” e “fascista”.
L’interessato, in un intervento su “La Nazione” di venerdì scorso, si esprime severamente nei confronti di chi riveste responsabilità politiche: “Mi chiedo, di fronte a episodi di palese violazione delle più elementari norme di civiltà, dove è andata a finire quella politica che si riempie la bocca della sacra parola ‘legalità’ ed alla prima occasione utile fa finta di dimenticarsene e si nasconde prudentemente”.
La reazione dei tre assessori all’istruzione (regionale, provinciale e comunale) è sostanzialmente identica e consiste nell’esprimergli inizialmente “piena solidarietà” per aggiungere subito dopo che ha sbagliato a scegliere la linea dura. Stella Targetti (Regione): “Per quanto riguarda la denuncia, però, trovo che il muro contro muro non paghi. È una questione di opportunità, sarebbe stato preferibile un dialogo coi ragazzi, molti istituti hanno visto autogestioni in cui si è vista la partecipazione dei docenti. Il rapporto autoritario non funziona più, né in famiglia, né a scuola”. Giovanni Di Fede (Provincia): “Il nostro ruolo è un altro, è quello di educatori che devono dialogare con i ragazzi... La denuncia equivale a lavarsene le mani delegando ad altre autorità l’intervento e rinunciando al nostro ruolo che impone un dialogo anche conflittuale con gli studenti, insomma con i ragazzi dobbiamo vedercela noi, la denuncia è una strada sbrigativa”. Rosa Maria Di Giorgi (Comune), in una lettera pubblicata ieri sul “Corriere Fiorentino”, va ancora oltre: nelle occupazioni non c’è in fondo niente di male, quasi ovunque si è trovato un modus vivendi, chi vuol fare lezione fa lezione, chi vuole partecipare a incontri di approfondimento con ospiti esterni può farlo. “Si sa, all’inizio dell’anno scolastico è così da tanto tempo”. Al Michelangelo qualche studente decide di alzare il tiro e allora “il preside decide, nella sua autonomia e in perfetta solitudine, di denunciare alcuni di quei ragazzi”. Riguardo ai quali l’assessore si chiede: “Che percezione avranno delle istituzioni se nel loro primo impatto con esse il segnale è quello della frattura, dell’espulsione, del muro contro muro?”
Vale la pena di riportare la risposta del direttore del “Corriere Fiorentino”, Paolo Ermini:
Frattura, espulsione, muro contro muro. L’assessore De Giorgi usa espressioni forti per descrivere la situazione che si è creata al Michelangelo. Una drammatizzazione che serve a rendere più incalzante la richiesta di dialogo. L’intento è da apprezzare, ma a una condizione: gli studenti (con i loro genitori e anche con un po’ di insegnanti), devono capire che in un paese libero e democratico come il nostro la legalità è una e una sola, e che è fatta apposta per non essere violata. Anche nell’interesse di ciascuno di loro, ora e quando saranno più in là con gli anni, perché è l’unica arma per difendere i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli.
C’è solo da aggiungere che questo generico appello al “dialogo” è fondato su una serie di presupposti sbagliati o indimostrati: che il dialogo sia possibile sempre e comunque, con tutti, anche se i politici per primi sanno per esperienza che non è così. Che nel caso del “Michelangelo” non ci sia stato o non sia stato tentato. Che la sanzione (nei casi gravi anche penale) non sia uno degli strumenti della relazione educativa, secondo il luogo comune per il quale “ci vuole l’educazione, non la punizione”.
Infine, il “dialogo” senza una progressiva responsabilizzazione dei giovani da parte di adulti capaci di comprensione, ma anche di fermezza, non può che risolversi in cedimento, indulgenza e inconsistenza sul piano etico, oltre a far torto ai tanti ragazzi che si comportano correttamente.
La verità è che in tema di occupazioni e manifestazioni studentesche è in vigore da decenni una “costituzione materiale” a cui troppi adulti si sono quanto meno rassegnati e che ha reso “normali” una serie di comportamenti inaccettabili.

GR

sabato 13 novembre 2010

SCUOLA PUBBLICA: UN DECLINO IRREVERSIBILE?

È di poche settimane fa un articolo di fondo di Ernesto Galli della Loggia a proposito della crescita, in Italia, delle scuole private di qualità (parificate e non). Premesso che ritengo le scuole private, soprattutto se di qualità, utili e stimolanti per il sistema statale, più di un segnale mi porta a pensare che ci si trovi alla vigilia di una vera e propria svolta nel sistema scolastico statale. Vedo cioè il rischio, epocale e di lunga durata, che la scuola statale declini in termini di qualità, avvantaggiando quelle private che, rifiutando di limitarsi alla funzione di diplomifici, punteranno ad intercettare i figli delle famiglie benestanti, che avranno così dei punti di riferimento qualitativamente di classe e in quanto tali destinati a creare solchi profondi tra chi frequenterà il sistema statale e chi quello privato di qualità. Insomma, il rischio è che la scuola italiana, anche sotto questo aspetto, si vada americanizzando. I segnali ci sono e sono da tempo evidentissimi. Alcuni, volendo esibire un certo impegno politico, paventano il rischio della deriva in virtù delle colpe della Gelmini, anziché del disastro che quotidianamente e da anni incancrenisce la scuola e che ha ben altri responsabili che non l’ultimo ministro dell’istruzione. Innanzitutto vi è l’assoluta impossibilità, oramai da moltissimo tempo, di porre un filtro a quei docenti (pochi, ma molto dannosi) che entrano nelle scuole senza alcun rischio di venirne cacciati per incapacità, neghittosità e, talvolta, comportamenti di inaudita gravità. Peraltro, come ho scritto più volte, docenti del genere finiscono col colpire in modo irreversibile i ragazzi delle famiglie più svantaggiate, a differenza di quelli che hanno mezzi economici o genitori dotati di una certa preparazione intellettuale. Deve essere ben chiaro a tutti che nel sistema della scuola statale è assolutamente impossibile liberare i ragazzi dalla presenza di simili docenti. Ai sindacati fa comodo sbandierare i pericoli per i dipendenti derivati dal decreto Brunetta in fatto di tutele. La verità è che i docenti e il personale ATA godono, rispetto a stipendi bassi e bassissimi, del diritto di inamovibilità e non esiste una pagina di una qualsiasi rivista sindacale in cui si parli della necessità di garantire i ragazzi e le loro famiglie da docenti del genere.Vi è inoltre, e anche in questo caso da anni, l’impossibilità di chiedere che i docenti si aggiornino regolarmente (lo fanno quelli che non rinunciano a sentirsi e ad essere intellettuali e appassionati alla loro professione), come conviene a chi è chiamato a far fronte a novità metodologiche e culturali legate al mondo giovanile, che ha tempi di cambiamento sempre più rapidi. Allo stesso modo, manca ancora oggi, a proposito degli studenti, una seria riflessione sul merito, che meriterebbe uno sforzo (anche economico) pari a quello dedicato ai ragazzi da recuperare e motivare. Se la scuola pubblica perde la possibilità di distinguere e premiare chi merita, perde ogni valenza civile ed etica e diventa inutile se non ad allevare giovani in attesa “di giudizio”.Da anni, le occupazioni, a volte stimolate da esponenti politici a dir poco irresponsabili, contribuiscono a rendere l’immagine della scuola statale, come una sorta di palestra della illegalità, e in quanto tale non può che perdere progressivamente quella credibilità senza la quale, come scritto sopra, qualsiasi scuola è inutile. Talvolta si ha la sensazione che la scuola sia prigioniera di una sorta di cronica assuefazione alla quotidianità, alla necessità, cioè, di far trascorre il tempo a ragazze e ragazzi in attesa che essi possano finalmente fare - alla fine della scuola - una scelta di vita seria, coinvolgente e consapevole. Stipendi bassi, tagli indiscriminati (mai troppi, però, quelli per i tanti inutili progetti), ruolo sociale dei docenti in progressiva caduta, possono legittimare l’altrettanto diffusa perdita di passione per il loro lavoro?In queste prime settimane, infine, il susseguirsi di assemblee sindacali e scioperi dei docenti, seppure con l’intento di opporsi ai drastici tagli al bilancio dell’Istruzione,contribuisce a rendere meno attrattiva la scuola pubblica.Quest’anno ho la reggenza in un istituto che comprende insieme alla scuola media di primo grado anche la scuola dell’infanzia e quella primaria. Ho ben chiare le preoccupazioni di molti immigrati e di altrettanti italiani che non sanno se potranno far entrare in classe i loro bambini perché forse l’insegnante ha scioperato; patemi, questi, che difficilmente saranno addebitati al ministro dell’istruzione...Non so se in futuro non pochi di questi, potendoselo permettere, continueranno ad affidarsi e fidarsi della scuola pubblica, di questa scuola pubblica che pur continuando ad avere ancora pregi indiscutibili, e proprio per questo, non può permettersi di non riflettere sul rischio di deriva verso la quale mi sembra indirizzata.

V.V.

venerdì 12 novembre 2010

LA FRANTUMAZIONE DELLA SCUOLA NELL'ERA DELL'AUTONOMIA

Scardinamento della cornice culturale unitaria del sistema scolastico, sostituzione dei programmi con le indicazioni nazionali, venir meno di una guida e di una direzione chiaramente individuate, trionfo del localismo, accentuazione delle disparità territoriali in termini di opportunità, conseguente indebolimento dei saperi di base. Questi i principali nodi dell’analisi di Adolfo Scotto di Luzio pubblicata sul “Riformista”. Leggi

ANCORA SUI MESTIERI CHE POCHI VOGLIONO FARE

Su “LiberoMercato” Giuseppe Bertagna torna sul tema - strettamente connesso a quello dell’apprendistato e della formazione professionale - dei mestieri che nessuno vuole fare (salvo gli stranieri). Anche se muove da una liquidazione senza appello e senza residui dell’attuale struttura scolastica, che non è qui il caso di discutere, ma che personalmente non condivido, Bertagna accumula un’impressionante serie di dati di fatto sullo scollamento tra formazione dei giovani e mercato del lavoro e ci costringe a riflettere su più di un paradosso. Leggi (GR)

IMPARA L'ARTE CON L'APPRENDISTATO

Lo scorso agosto ebbi occasione di scambiare qualche battuta con un ragazzo che faceva il cameriere in un agriturismo dolomitico. Disse di frequentare un istituto tecnico e che per raggiungerlo si deve alzare molto presto, dato che abita in campagna. Quanto alle vacanze, ci disse come se fosse un’assoluta ovvietà: “Che ci sto a fare tre mesi a casa senza far niente? Così vengo qui a lavorare”.
Mi è tornato in mente questo ragazzo così poco bamboccione nel leggere un articolo sul “Messaggero” di Antonio Lombardi, presidente dell’Alleanza Lavoro, l’associazione di categoria delle Agenzie per il Lavoro, che rievoca la sua personale esperienza di vacanze spese nell’imparare un mestiere (come raccomandano due detti della saggezza popolare: “L’ozio è il padre dei vizi” e “Impara l’arte e mettila da parte). Secondo Lombardi, la riforma dell’apprendistato, purtroppo molto tardiva, è una grande occasione per rilanciare uno strumento di grande utilità formativa per le nuove generazioni. E dovrebbe essere la scuola stessa a "reclamizzarne" la rinascita. Leggi.

mercoledì 10 novembre 2010

UNA VITA DIFFICILE: IL CAMMINO A RITROSO DI “CITTADINANZA E COSTITUZIONE”

Il 1° agosto 2008, un comunicato del Ministro dell’Istruzione annunciava: “Dal prossimo anno scolastico – nel primo e nel secondo ciclo di istruzione – sarà introdotta la disciplina 'Cittadinanza e Costituzione', che sarà oggetto di specifica valutazione. Sono previste 33 ore annuali di insegnamento”.
Pur non essendo chiaro in che cosa si differenziasse dalla vecchia Educazione civica (o forse proprio perché le somigliava molto), l’annuncio ebbe un’accoglienza generalmente favorevole, anche per l’impegno a riservarle un’ora la settimana. Dopo di che gli insegnanti, in attesa di maggiori dettagli, ci hanno potuto capire ben poco. I docenti di lettere della media si sono visti comparire, invece dell’ora in questione, un’inedita ora supplementare di “Approfondimento di Italiano”, la cui utilizzazione veniva naturalmente delegata alle singole scuole, con il relativo corteo di riunioni e discussioni. Dato che nel frattempo le ore di lettere per classe erano scese da 11 a 9, in molti casi si è deciso, prendendo sul serio gli annunci ministeriali, di impiegare questa decima ora appunto per “Cittadinanza e Costituzione”, in modo da non sottrarre tempo a storia o a italiano.
Una circolare del 27 ottobre scorso, però, precisa che questa materia si integrerà nell’area storico-geografica e non avrà una sua ora, né una valutazione autonoma, ma influirà su quella di storia e geografia e - non si capisce in che modo - “nella definizione del voto di comportamento” (forse chi sa a memoria la Costituzione potrà evitare il 5 in condotta...).
In sostanza si torna al punto di partenza, quando l’educazione civica era accorpata a storia. Ma con la diminuzione delle ore di lettere e di storia sarà quasi impossibile far quadrare i conti. Quanto poi al contemporaneo rilancio della dimensione “trasversale” di questa semi-disciplina (cioè il suo riguardare anche le altre materie) accanto a quella più specificamente affidata ai docenti di lettere, l’esperienza ha dimostrato ampiamente che si tratta di parole al vento, a meno che non ci si riferisca ai compiti educativi che ogni insegnante deve assolvere in quanto tale; ma allora è del tutto superfluo questo ulteriore inquadramento concettuale (Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem...).
In definitiva, su questa base non c’è molto da illudersi che “Cittadinanza e Costituzione” conduca un’esistenza meno stentata della vecchia “Educazione civica”. Di cambiato, sembra proprio che sia rimasto soltanto il nome. (GR)

L’articolo di “Repubblica”.
La circolare n. 86 del 27 ottobre 2010.