venerdì 30 marzo 2012

I COMPITI A CASA DI NUOVO SOTTO ACCUSA. E IL MINISTRO (PURTROPPO) SI ASSOCIA...

Torna alla ribalta il problema dello studio a casa, sull’onda dell’iniziativa “rivoluzionaria” della maggiore associazione dei genitori francesi: quindici giorni di boicottaggio dei compiti assegnati dai docenti. E il ministro Profumo, che senza clamori avrebbe potuto informarsi presso le scuole su come stiano effettivamente le cose e sentire cosa ne pensano gli insegnanti e i dirigenti, si allinea senza incertezze con motivazioni a dir poco sconcertanti: “Una versione di latino può anche essere copiata da internet. Credo sia più interessante far lavorare i ragazzi con strumenti logico-deduttivi [una traduzione o un problema matematico non lo sono?]. O farli uscire da casa per seguire un progetto organizzato dalla scuola [tutti i giorni?]. Sì, sono d’accordo nel dare meno compiti a casa [meno di quanto?]. Dobbiamo insegnare a fare gruppo ed evitare che gli studenti si isolino nella loro cameretta” [ma non è proprio così che i ragazzi possono esercitare la loro capacità di concentrarsi, oggi mediamente molto labile?].
Sgomenta la spensieratezza con cui si continua a bombardare l’autorità degli insegnanti e si rafforza nei giovani l’idea onnipotente di poter raggiungere tutto senza fatica. E sgomenta in particolare, duole dirlo, che il Ministro dell'Istruzione, con il ruolo che ha, si associ a una proposta così mal posta e demagogica, neanche volesse inseguire il consenso degli elettori. 
Eppure i commenti alla notizia da parte degli psicologi (Pietropolli, Piotti, Vegetti Finzi) erano stati molto chiari, come riferiva ieri l’altro “Il Corriere della Sera” in due diversi articoli. Ma questa leggerezza si paga: non è da genitori e da insegnanti poco esigenti che si impara a vivere.
«Sì a meno compiti a casa, meglio dare altri stimoli»
«No ai compiti a casa». Quei genitori che vogliono abolirli.
Né troppo studio, né troppe attività. Fateli annoiare.

mercoledì 28 marzo 2012

INSEGNANTI E COMPETENZE: IN VISTA UNA NUOVA CAMPAGNA DI RIEDUCAZIONE

“ilsussidiario.net”, giornale internettiano della Fondazione per la Sussidiarietà, ospitava ieri un’intervista a Carmela Palumbo, direttore generale del Miur per gli ordinamenti scolastici. Argomento: le competenze per il primo ciclo e per il primo biennio del secondo in via di elaborazione presso il ministero e le relative linee-guida. Il cuore dell’intervista è questo: gli insegnanti dovranno cambiare da cima a fondo il loro modo di insegnare. Per questo motivo “intendiamo fare attività di formazione, perché sappiamo di chiedere una cosa molto impegnativa dal punto di vista della didattica, che richiede una profonda innovazione nel metodo... Un’operazione che richiederà molti anni per produrre i suoi effetti” . Come la asserita impreparazione dei docenti si concili con l’adozione fin dal prossimo anno del modello di certificazione ministeriale non viene spiegato; ma nel “paese del pressappoco” questo modo di procedere è piuttosto la regola che l'eccezione.
Naturalmente la stragrande maggioranza degli insegnanti non ha certo avuto bisogno della moda delle competenze per sapere benissimo che serve a poco “conoscere le formule o la grammatica, se poi non si sanno risolvere «problemi» in contesti nuovi o padroneggiare la lingua a seconda delle diverse situazioni”; e per valutarne il possesso non sembra proprio decisiva l’invenzione della fumosa categoria delle “prove esperte” o “di realtà”.
Per gli insegnanti, già amareggiati dalla mazzata pensionistica e spesso logorati da allievi che le famiglie hanno esentato dal principio di realtà, si annuncia un tentativo di riconversione autoritaria alla Giusta Didattica, con tanti saluti alla libertà metodologica. Sul suo blog, Giorgio Israel commenta l’intervista con solido buon senso e consiglia una linea di condotta ispirata alla riduzione del danno.

Giorgio Ragazzini

lunedì 26 marzo 2012

ESISTE NELLA SCUOLA LA QUESTIONE MORALE?

Se lo chiede (retoricamente) Mario Pirani nella sua rubrica Linea di confine, confermando un'attenzione ormai di lunga data ai problemi della scuola sulla linea gramsciana dell'impegno e della fatica come ingredienti ineliminabili della formazione culturale. Al centro della sua riflessione il libro di Marcello Dei Ragazzi si copia, più volte ricordato su questo blog, che denuncia l'enorme diffusione e la semilegalizzazione della pratica del copiare nella scuola italiana.  Leggi.

martedì 20 marzo 2012

DEPENALIZZIAMO IL SOMARO

Un professore catanese di scuola media denunciato dal padre di un allievo a cui aveva dato del “somaro” è stato rinviato a giudizio per “abuso di potere”. Le informazioni sull’episodio sono molto scarse nel breve articolo apparso su "La Repubblica", ma la vicenda ne ricorda un’altra, quella della docente palermitana che fece scrivere cento volte “Sono un deficiente” a un bullo che aveva infierito su un compagno. Anche senza saperne molto, cascano le braccia all’idea che episodi di questo tipo arrivino in un tribunale della Repubblica, con tutto l’immaginabile arretrato da smaltire e dopo che il Pubblico Ministero aveva chiesto l’archiviazione (è stato il Giudice delle Indagini preliminari a decidere diversamente). Nel caso meno favorevole al docente, si dovrebbe arrivare al massimo a un richiamo del dirigente; e semmai ci si può rammaricare per l’ennesima volta che da noi la deontologia professionale e gli organismi incaricati di verificarne il rispetto (senza far passare anni come i tribunali) non siano ancora neppure all’orizzonte. È un po’ come se per un fallo di gioco si denunciasse chi l’ha commesso invece di dare un calcio di punizione. Abbiamo (purtroppo) depenalizzato il falso in bilancio e il blocco stradale, per poi incriminare per un "somaro" un insegnante spazientito?
La notizia è stata ripresa da “Tuttoscuola” che si chiede se “rientra ancora, tra i ‘poteri’ (compiti, funzioni) dell’insegnante quello di rivolgersi agli alunni con quel tono burbero, tra brusco e paterno, ben noto alle precedenti generazioni di studenti”. Commenta con molto equilibrio l’episodio anche il blog  "LaProfonline".
(GR)

mercoledì 14 marzo 2012

"DI DESTRA”, “DI SINISTRA”: LE PIGRE ETICHETTE CHE DOVREMMO ABBANDONARE

Lo scorso 1° marzo Pierluigi Battista stigmatizzava l’antica e sempreverde abitudine “di una parte della sinistra” di squalificare come “di destra” il “nemico interno”, ovvero chi ha idee in parte diverse dalle proprie. Lo ha detto Vendola di Veltroni, possibilista su una modifica dell’articolo 18, mentre Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, appioppava la medesima etichetta a Pietro Ichino - il quale però ha le stesse idee di quando fu candidato dal partito di Fassina. Così per Renzi, che farebbe finta di essere di sinistra; così per Tony Blair. Aggiunge Battista: “Non si dice: Veltroni è di un'altra sinistra, giacché le sinistre possono essere più d'una. No, si dice: Veltroni è «di destra»”. Sensate considerazioni. Tuttavia l’opinionista del “Corriere” continua a usare queste categorie come se avessero un significato ben definito. Ma così non è e anzi sarebbe il caso, se non si è pronti per un’onorata sepoltura, di lasciarle in vita solo come denominazioni di schieramenti politici (la sinistra, il centrosinistra, il centrodestra), evitando di utilizzarle per rimpiazzare a buon mercato un'argomentazione o un giudizio di valore: una proposta “di destra”, un’idea “di sinistra”... Bisogna rassegnarsi alla loro insignificanza. Essere “di destra” vuol dire stare con Bossi, con Berlusconi o con Fini? Essere liberisti o statalisti? Liberali o fascisti? Come mai Di Pietro, se è di destra come dice Battista, è in sintonia con Vendola e i grillini? E ha senso dire che sono “di sinistra” sia il pragmatico Bersani sia Marco Rizzo, che ha “espresso dolore e presentato le proprie condoglianze al popolo nordcoreano per la morte di Kim Jong-il”?
Ma il bisogno di etichettare dà sicurezza a chi non è abituato a approfondire, a ragionare; e spesso a farlo sono gli stessi che insegnano il rispetto dell’ “altro”, del “diverso” - purché non sia diverso per le opinioni politiche...
Anche nel mondo della scuola posizioni di buon senso vengono demonizzate o rimosse con l'etichetta “di destra” o “di sinistra”. Per quanto ci riguarda, continueremo a rivolgerci a tutti, chiedendo adesioni e riflessioni su temi e obbiettivi precisi senza alcuna pregiudiziale politica e senza preoccuparci se sembreremo “di destra” o “di sinistra”. Etichette di cui già parecchi anni fa Giorgio Gaber faceva un’efficace caricatura. Guarda il video.