Due interventi nello stesso fine settimana denunciano
il crescente ruolo dei giudici in molti àmbiti della società: Una corte conta più del parlamento di
Andrea Cangini e Via giudiziaria al concorso scolastico di Giovanni Belardelli, quest’ultimo sulla via crucis
dei concorsi per dirigenti.
Per limitarsi al territorio scolastico, chi ha la
responsabilità di decidere bocciature e sanzioni disciplinari nella scuola sa
benissimo che il ricorso è sempre in agguato; e che le probabilità di vedersi
dare torto da un giudice sono molto alte, anche nel caso che non si siano commessi
errori da parte di colleghi poco attenti o impreparati. Non
meraviglia quindi che questo timore stia scalando rapidamente la disdicevole
classifica dei pretesti con cui alcuni presidi e alcuni colleghi si scrollano volentieri
di dosso le loro responsabilità. E non parliamo poi di eventuali incidenti a un
allievo: qui può andarne di mezzo la serenità della propria esistenza futura.
Singolare paese, il nostro, in cui si proclama in teoria l'autonomia della scuola, del docente, del consiglio di classe, per poi
sottoporre quasi ogni loro decisione a un maniacale setaccio formalistico. Il problema è capire quali
strade ci possono essere per combattere questa crescente invadenza. Rivedere lo
statuto degli studenti? Semplificare e razionalizzare le norme sulla
valutazione, ancorandole meglio ai risultati effettivi? Valorizzare i
regolamenti interni? In ogni caso, se la scuola, come a volte stucchevolmente
si dice, è troppo importante per lasciarla agli insegnanti, figuriamoci se
possiamo appaltarla alla magistratura amministrativa e al Sindacato Genitori
Iperprotettivi. (GR)