mercoledì 21 agosto 2013
EDUCAZIONE E QUIETE PUBBLICA: BAMBINI INGOVERNABILI NEI LUOGHI DI VACANZA
Un
articolo di Luca Goldoni descrive con esattezza di dettagli la distruzione
della tranquillità nei luoghi di villeggiatura a opera dei bambini non educati alla
convivenza. Basta aggiungere due cose: che la cosa vale anche per gli alberghi
di montagna; e che, se non bastano i bambini, ci pensa la musica ad alto volume
a pregiudicare del tutto la possibilità di rilassarsi. Leggi.
lunedì 19 agosto 2013
SCUOLA DI MASSA E SCUOLA DI CULTURA
In
attesa di leggere il libro di Adolfo Scotto di Luzio, La scuola che vorrei,
godiamo della bella recensione che sul “Corriere della Sera” di oggi ne fa
Ernesto Galli della Loggia. Quest’ultimo si identifica totalmente nelle tesi
del libro e soprattutto del fallimento della nostra scuola di massa: aver
gettato a mare il meglio della nostra tradizione scolastica che aveva avuto il suo fulcro nell’essere
innanzitutto scuola di cultura. Cioè scuola di qualità attenta ai contenuti
piuttosto che soltanto alle metodologie (pure importanti) e soprattutto capace di dare ai ragazzi il senso
di appartenenza ad una comune
civiltà in continua evoluzione e in
continua costruzione del “ senso di noi”. Un senso di noi che, a mio parere, è
drammaticamente assente nella scuola italiana di ogni ordine e grado; dove, appunto, dominano le dogmatiche teorie
“applicative” dei vari sistemi didattici e pedagogici che per moda si
alternano a discapito di contenuti certi e comuni.
Per esempio, in base alla mia esperienza pluridecennale di presidente di commissioni d’esame nelle scuole superiori, posso testimoniare che da una ventina d’anni non ho più il piacere di assistere ad orali in cui si parli di Dante, Foscolo, Leopardi o di Manzoni, “accortamente” studiati in quarta, se studiati. Né mi sembra abbia senso sottoporre a una quantità esosa di discipline gli studenti degli istituti tecnici e professionali, che dovrebbero invece concentrarsi su poche materie per approfondirle veramente, come è tipico di una didattica di impostazione umanistica e realmente legata alle nostre radici culturali. La differenza tra i vecchi maestri di bottega e una moderna formazione professionale dovrebbe consistere soprattutto nel dare la possibilità agli studenti di studiare e contestualizzare le materie professionali in una dimensione storica e artistica: cosa che naturalmente nelle nostre scuole è lontana dal realizzarsi. D’altra parte se nelle scuole pubbliche si può insegnare quello che si vuole, che senso ha curarsi della preparazione dei docenti? E chi si è preoccupato negli ultimi decenni (sottolineo: decenni!) di selezionare dei docenti colti, meritevoli e motivati?
Per Scotto di Luzio e Della Loggia una scuola come la nostra sarà sempre più disertata dalle élite, mentre penalizzerà sempre più le classi meno abbienti, in quanto, derubricata a ente gestore di moltitudini in cui gli studenti “sono indotti sempre più a concepire l’istruzione come uno specifico, individuale percorso, aperto a molteplici esperienze di vita”, non potrà permettere ai capaci e meritevoli di accedere, come invece meriterebbero, ai livelli più alti della società.
Come Gruppo di Firenze ci auguriamo che questo libro possa rimettere in primo piano il ruolo primario della scuola, quello di affidare alle nuove generazioni il nostro patrimonio culturale come base indispensabile anche della propria riuscita individuale. Per questo è necessario che alla scuola si guardi finalmente con quel realismo critico che è alla base della nostra cultura idealista, pragmatica e anche gramsciana. Invece coloro che hanno avuto in mano le leve del potere scolastico e culturale hanno in genere preferito fare scelte ideologiche e alla moda, anche perché meno impegnative per chi spesso si è trovato a gestirle, quelle leve, per “meriti” di militanza politica e di fedeltà ai partiti, senza avere la preparazione e la vocazione necessarie: quella di essere “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte”. (VV)
Per esempio, in base alla mia esperienza pluridecennale di presidente di commissioni d’esame nelle scuole superiori, posso testimoniare che da una ventina d’anni non ho più il piacere di assistere ad orali in cui si parli di Dante, Foscolo, Leopardi o di Manzoni, “accortamente” studiati in quarta, se studiati. Né mi sembra abbia senso sottoporre a una quantità esosa di discipline gli studenti degli istituti tecnici e professionali, che dovrebbero invece concentrarsi su poche materie per approfondirle veramente, come è tipico di una didattica di impostazione umanistica e realmente legata alle nostre radici culturali. La differenza tra i vecchi maestri di bottega e una moderna formazione professionale dovrebbe consistere soprattutto nel dare la possibilità agli studenti di studiare e contestualizzare le materie professionali in una dimensione storica e artistica: cosa che naturalmente nelle nostre scuole è lontana dal realizzarsi. D’altra parte se nelle scuole pubbliche si può insegnare quello che si vuole, che senso ha curarsi della preparazione dei docenti? E chi si è preoccupato negli ultimi decenni (sottolineo: decenni!) di selezionare dei docenti colti, meritevoli e motivati?
Per Scotto di Luzio e Della Loggia una scuola come la nostra sarà sempre più disertata dalle élite, mentre penalizzerà sempre più le classi meno abbienti, in quanto, derubricata a ente gestore di moltitudini in cui gli studenti “sono indotti sempre più a concepire l’istruzione come uno specifico, individuale percorso, aperto a molteplici esperienze di vita”, non potrà permettere ai capaci e meritevoli di accedere, come invece meriterebbero, ai livelli più alti della società.
Come Gruppo di Firenze ci auguriamo che questo libro possa rimettere in primo piano il ruolo primario della scuola, quello di affidare alle nuove generazioni il nostro patrimonio culturale come base indispensabile anche della propria riuscita individuale. Per questo è necessario che alla scuola si guardi finalmente con quel realismo critico che è alla base della nostra cultura idealista, pragmatica e anche gramsciana. Invece coloro che hanno avuto in mano le leve del potere scolastico e culturale hanno in genere preferito fare scelte ideologiche e alla moda, anche perché meno impegnative per chi spesso si è trovato a gestirle, quelle leve, per “meriti” di militanza politica e di fedeltà ai partiti, senza avere la preparazione e la vocazione necessarie: quella di essere “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte”. (VV)
martedì 6 agosto 2013
“LA STAMPA” PRENDE UN GRANCHIO E TRASFORMA IL BRACCIO DESTRO DI DON MILANI NELLA FAMIGERATA PROFESSORESSA DELLA “LETTERA”
Com’è andata con precisione non l’ha capito
neppure Rocco Moliterni, responsabile delle pagine culturali del quotidiano
torinese. Fatto sta che Adele Corradi, la docente di lettere diventata dal 1963
la più assidua collaboratrice del priore di Barbiana, è diventata “l’insegnante
cui era indirizzata la Lettera a una
professoressa”, proprio quella che la scuola di Barbiana additò al
disprezzo delle future generazioni come simbolo della scuola nemica dei poveri.
Eppure la vera professoressa – Vera Salvanti Spadoni – era stata intervistata
nel ’92 proprio da una giornalista della “Stampa” nonché sua ex-allieva; un’intervista
dalla quale usciva molto bene, nonostante la sua grande severità.
Cogliamo volentieri l'occasione di questa svista per ridare la parola, insieme a Adele Corradi, anche a Vera Salvanti, aggiungendo il ricordo che Valerio Vagnoli, essendo stato suo collega, scrisse in occasione della sua morte nel 2007. (GR)
L’intervista a Adele Corradi
L’intervista a Vera Salvanti
La testimonianza di Valerio Vagnoli, collega della "professoressa".
Cogliamo volentieri l'occasione di questa svista per ridare la parola, insieme a Adele Corradi, anche a Vera Salvanti, aggiungendo il ricordo che Valerio Vagnoli, essendo stato suo collega, scrisse in occasione della sua morte nel 2007. (GR)
L’intervista a Adele Corradi
L’intervista a Vera Salvanti
La testimonianza di Valerio Vagnoli, collega della "professoressa".
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