venerdì 30 maggio 2014

LETTERA APERTA AL MINISTRO SUI BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

Pubblichiamo di seguito una nostra lettera aperta appena inviata al Ministro Giannini. Chi volesse a sua volta scriverle per condividere il contenuto della lettera o per esprimere ulteriori valutazioni, può farlo all'indirizzo: segreteria.particolare.ministro@istruzione.it. 

Gentile Ministro Giannini,
nell’anno scolastico che si avvia al termine le scuole hanno cominciato ad applicare la normativa sui Bisogni Educativi Speciali. È il momento, quindi, di fare un bilancio della sua applicazione. E le testimonianze che ci arrivano dalle scuole confermano le nostre iniziali preoccupazioni.
Non poche famiglie, infatti, chiedono alla scuola, talvolta probabilmente con l’aiuto di un medico compiacente, un Piano Educativo Personalizzato come scorciatoia per rimediare a uno scarso profitto scolastico, non motivato da effettive difficoltà di apprendimento. Alcune reagiscono preannunciando ricorsi nel caso che i docenti non ritengano giustificato il PEP.
D’altra parte, l’intervento dei consigli di classe, quasi sempre privi dell’indispensabile sostegno di competenze specialistiche e di strumenti didattici adeguati, spesso non può che tradursi in un puro e semplice abbassamento degli obbiettivi; e non è certo questo il modo migliore di aiutare gli alunni con problemi di apprendimento.
Vogliamo poi segnalarle una grave distorsione che la normativa introduce in una corretta visione della formazione dei giovani. Essa induce infatti a pensare che le difficoltà scolastiche di qualsiasi tipo e origine si possano e quindi si debbano affrontare sul piano della didattica, mentre molto spesso derivano da problemi extrascolastici. Infatti le frequentissime difficoltà nell’attenzione e nella concentrazione, la stancabilità, l’irrequietezza, la scarsa autonomia, i comportamenti oppositivi hanno spesso le loro radici nella debolezza educativa delle famiglie. Molti bambini arrivano alla scuola materna senza un’educazione di base che consenta loro di convivere con gli altri e di impegnarsi in vista di un obbiettivo. La scuola stessa mette spesso un impegno insufficiente nel far rispettare le regole, a causa di una diffusa sottovalutazione della loro importanza. Di recente la stessa Ocse, nell’analisi dei dati dell’indagine PISA 2012, sostiene invece che la disciplina ha una grande influenza sul livello degli apprendimenti, in quanto favorisce la concentrazione e l’uso ottimale del tempo a disposizione.
Tutto questo considerato, la invitiamo ad avviare con urgenza un’indagine conoscitiva che coinvolga tutte le scuole e faccia un quadro preciso delle difficoltà, dei problemi emersi e dei provvedimenti che i docenti ritengono necessari.
Per parte nostra, riteniamo comunque indispensabile:
- assicurare a tutte le scuole, come succede ad esempio in Finlandia, la collaborazione continuativa di psicologi scolastici, logopedisti, assistenti sociali realmente preparati, in grado di supportare concretamente gli insegnanti nell’affrontare i problemi degli allievi secondo l’ottica più opportuna caso per caso, anziché dover contare, come spesso accade, solo su comitati pletorici e poco qualificati, su competenze improvvisate e su organismi di supporto ancora insufficienti ;
- delimitare in modo più chiaro e rigoroso il concetto di Bisogno Educativo Speciale – che nel testo della Direttiva 27 dicembre 2012 comprende di fatto qualsiasi tipo di difficoltà scolastica – in modo da riservare effettivamente l’adozione di un Piano Educativo Personalizzato solo a casi di gravi difficoltà di apprendimento, escludendo gli allievi il cui insoddisfacente andamento scolastico sia imputabile soprattutto a scarso impegno e alle ordinarie difficoltà che chiunque può incontrare;
- mettere al centro della politica scolastica la necessità di una scuola più esigente nel richiedere serietà e impegno e più ferma nel far rispettare le regole, in modo da assicurare al lavoro scolastico la necessaria cornice di serenità;
- favorire la diffusione di centri di consulenza educativa per i genitori, anche valorizzando quelli già esistenti in diverse zone del paese, anche allo scopo di prevenire i problemi scolastici dei figli.
Cordialmente,
Gruppo di Firenze 
per la scuola del merito 
e della responsabilità

SULLO STESSO ARGOMENTO: Perché la normativa sui BES aggraverà la crisi della scuola; Per gli studenti servono disciplina e specialisti, non decreti e commissioni.

giovedì 22 maggio 2014

BERLINGUER ARRUOLA IL PAPA CONTRO L’INSEGNAMENTO “TRASMISSIVO”

Da tempo l’ex-ministro Berlinguer è impegnato in una sua personale campagna contro l’insegnamento “trasmissivo”. La rilancia anche in un’intervista al “Sussidiario.net”, in cui indica papa Francesco come esempio di didattica interattiva. Ma le semplificazioni con cui l’ex ministro conduce la sua battaglia meritano qualche considerazione.
La prima riguarda l’inadeguatezza del termine “trasmissivo”, perché non si vede cos’altro debba fare una società se non trasmettere alle nuove generazioni (con le più varie metodologie di insegnamento e attraverso altri canali) il proprio patrimonio culturale, del quale fa parte a pieno titolo, almeno nella cultura occidentale, l’idea di un suo continuo ripensamento per adattarlo all’evoluzione sociale.
Non corrisponde poi alla realtà, almeno per l’esperienza e le testimonianze su cui si basano le mie convinzioni, l’immagine che Berlinguer continua a riproporre di una scuola che in grande maggioranza vedrebbe gli insegnanti parlare ininterrottamente a degli allievi che tacciono senza poter interloquire, quasi fossimo all’anno zero della riflessione pedagogica e didattica. Ne è così convinto da rivolgere ai docenti questo ammonimento intriso di disistima: “Quello che voi fate non può essere un supplizio per chi sta dall’altra parte, deve divertire, appassionare”. Di stili e di metodi di insegnamento ce n’è invece di tutti i tipi, anche se è certamente auspicabile un confronto professionale sempre più ampio e arricchente all’interno delle scuole.
Ma non è neppure corretto sostenere senz’altro che “non possiamo più presentare ai giovani un trattato, un complesso di conoscenze strutturate, statiche, come spesso in molti fanno ancora oggi, perché a loro non piace”. Le conoscenze devono per forza, via via che si va avanti, strutturarsi in maniera sempre più organica, altrimenti rimangono frammentarie e superficiali. Ma questo non ha alcun legame con il modo, più o meno interessante e approfondito, con cui vengono proposte.
E siamo, qui, al punto essenziale: la vera contrapposizione non è quella tra insegnanti trasmissivi e insegnanti interattivi, ma tra quelli bravi e quelli che non lo sono. E un bravo insegnante deve conoscere bene la sua materia, avere competenze relazionali adeguate, saper incuriosire e appassionare gli allievi con i metodi con cui riesce meglio a esprimere il suo talento didattico e le sue competenze. Ci sono docenti capaci di splendide lezioni frontali, altri che guidano i propri allievi alla scoperta della materia attraverso le modalità della didattica attiva; e sono in tanti quelli che alternano modi diversi di insegnare. Vale anche per il papa, perché neppure lui è sempre “interattivo”. Spesso anzi fa la cosa più “trasmissiva” di questo mondo: legge il suo discorso.
Giorgio Ragazzini
(“ilsussidiario.net”, 21 maggio 2014)

mercoledì 14 maggio 2014

MAESTRE DI SCUOLA E DI VITA

Domenica scorsa, al Poggio Imperiale di Firenze, sede dell'Educandato della SS. Annunziata, si è festeggiato l’ingresso della Villa, insieme ad altre dimore storiche medicee, tra i beni riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Continua a leggere.

venerdì 9 maggio 2014

LE PROVE INVALSI E LA RESPONSABILITÀ DEI DOCENTI

Sulle consuete contestazioni alle prove Invalsi, ieri l’altro il “Corriere della Sera” pubblicava un commento di Gianna Fregonara, molto critico verso le resistenze che si manifestano nel mondo della scuola. Immediata la reazione di Giorgio Israel, storico avversario di questo tipo di prove, che sul suo blog accusa la giornalista di identificare la valutazione con i test dell’Istituto Nazionale a ciò preposto. Sulla “Stampa” di ieri, infine, Luca Ricolfi ammette di essere col tempo diventato più critico verso le prove Invalsi, a causa delle distorsioni e delle dinamiche negative che tendono a produrre nella scuola, la principale delle quali è la probabile induzione di una didattica orientata alla soluzione delle prove più che all’approfondimento delle materie, nella convinzione che prima o poi serviranno anche per valutare i docenti e che sostituiranno i voti nella valutazione degli allievi. Anche per quanto riguarda i contenuti dei test, lo stesso Israel ne ha sottolineato l’inadeguatezza, almeno per quanto riguarda la matematica. Delle verifiche nazionali sulla preparazione della popolazione scolastica potrebbero essere utili e accettabili se si limitassero ad accertare soltanto conoscenze e abilità elementari nelle diverse materie, il che tra l’altro non dovrebbe accendere la miccia del “teaching to the test”.
Senza addentrarsi ulteriormente nel merito del quadro polemico variamente delineato dai tre interventi, va detto che un problema a parte è però costituito dalle responsabilità di una parte degli insegnanti in tema di valutazione degli apprendimenti. Da molto tempo abbiamo più volte denunciato su questo blog il fatto che, grazie anche all’incoraggiamento dell’intellighenzia pedagogica e alle sollecitazioni ministeriali, molti scrutini finali si trasformano in una fiera del falso in atto pubblico, con la cancellazione di innumerevoli insufficienze anche gravi in nome delle più varie motivazioni e attenuanti di carattere sociale, psicologico e didattico. Negli ultimi anni è poi venuta alla ribalta, grazie al confronto con i risultati dei test Ocse-Pisa, la larghezza di maniche con cui – mediamente – le scuole del sud assegnano i punteggi massimi negli esami di Stato. È poi tristemente nota l’elevata percentuale di studenti che copiano sia durante l’anno che nelle prove d’esame, non di rado con la benevola tolleranza e a volte con l’attiva complicità di chi dovrebbe vigilare. Tutto questo ha fortemente compromesso la credibilità complessiva della scuola italiana in fatto di valutazione degli allievi e di conseguenza ha spinto potentemente verso forme di valutazione esterna che affianchino o addirittura sostituiscano (come pure qualcuno propone) quella dei docenti. Alla tendenza verso prove “oggettive” concorrono paradossalmente anche le modalità scelte da una parte degli insegnanti per manifestare la loro opposizione ai test Invalsi. Invitare le famiglie a tenere i figli a casa, istigare gli studenti a lasciare le prove in bianco oppure aiutarli a dare le risposte o consentire che si aiutino fra di loro sono comportamenti che non solo violano “gli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità” a cui sono tenuti i pubblici dipendenti, ma concorrono anch’essi a sminuire l’affidabilità professionale dei docenti italiani come garanti della correttezza e della regolarità delle verifiche e delle prove d’esame. In definitiva, solo una scuola in cui tutti si riconoscano fino in fondo nei valori del merito e della responsabilità può essere davvero autorevole nel dibattito pubblico sui temi che la riguardano. (GR)

martedì 6 maggio 2014

L’AGGIORNAMENTO: DIRITTO O DOVERE? UN DILEMMA DA SUPERARE RESTITUENDO AI DOCENTI LA DIGNITÀ DI PROFESSIONISTI

Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le scambiamo,
tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno.
Ma se tu hai un'idea e io ho un'idea e ce le scambiamo,
allora abbiamo entrambi due idee. 
(George Bernard Shaw)
Il numero 513 di “TuttoscuolaFOCUS” torna sull’obbligo di aggiornamento, che come diritto-dovere esiste sulla carta già da tempo, ma che di recente è stato ribadito come vero e proprio obbligo, almeno relativamente a situazioni particolari, nel decreto legge 104/13, detto “L’istruzione riparte” dall’ex ministro Carrozza e poi confermato nonostante le obbiezioni di parte sindacale. Continua a leggere.

domenica 4 maggio 2014

SU UN LAPSUS: GLI ISTITUTI ALBERGHIERI DIVENTANO LICEI

Fra i primi dieci classificati nel concorso “Cittadini europei, cittadini del mondo”, riservato agli studenti delle scuole superiori toscane, ci sono ben tre allievi dell’Istituto alberghiero “Aurelio Saffi” di Firenze. Che curiosamente, nella graduatoria ufficiale, è stato trasformato in “Liceo alberghiero”. 

Nessuna affettazione, ci mancherebbe altro, e nessun malcelato senso d’inferiorità, ma l’errore di chi ha stilato la graduatoria degli allievi vincitori di un prestigioso concorso indetto dalla Regione Toscana sull’Europa non ci inorgoglisce. Infatti, gli studenti dell’Istituto Professionale alberghiero che io dirigo (tre nei primi dieci, e questo sì che provoca soddisfazione e orgoglio, anche per i docenti che li hanno in questi anni preparati) si sono ritrovati appartenenti al “Liceo Alberghiero Saffi”. Ovviamente un Liceo del genere non esiste e spero bene che non esista neanche in futuro. Non perché intenda snobbare gli indirizzi liceali, ma perché ritengo che un indirizzo professionale non debba assolutamente perdere la propria identità, purtroppo già in parte compromessa da chi ha voluto ad ogni costo “licealizzare” i professionali. Come più volte è stato stigmatizzato su questo blog anche da parte del sottoscritto, la visione piramidale della nostra scuola superiore è assai consolidata nell’opinione pubblica ed è ancora lontana dall’essere superata. Innanzitutto perché cambiare il proprio modo di vedere il mondo richiede tempo, soprattutto se si vive in un paese come il nostro in cui cambiare idea, al pari del cambiare appartenenza politica, è visto come una sorta di tradimento e di mollezza ideologica. Inoltre, abbandonare questa sorta di supremazia culturale di cui godono i licei rimane ancor più difficile, perché ad esserne convinta è gran parte degli stessi addetti ai lavori. Basti pensare come ancora oggi sopravviva in molti insegnanti, anche colleghi nella stessa classe, la consapevolezza che ci siano materie che “valgono” più di altre e, di conseguenza sembrano affermare il principio che chi le insegna "valga" di più rispetto ai colleghi. Nell'attesa tuttavia che le cose, e le teste delle persone, cambino, io vorrei almeno che la mia scuola fosse rispettata per quello che è, cioè un istituto Professionale e guai a chiamarla, mi si permetta l'ironia, Liceo, "con rispetto parlando". (VV)