domenica 20 dicembre 2015

LA SOLITUDINE DELLA SCERIFFA DISARMATA

Il bell’editoriale di Gaspare Polizzi sul “Corriere Fiorentino” di oggi (La sceriffa disarmata) è dedicato alla preside del Liceo di Porta Romana, dove una netta minoranza di studenti, sostenuti dai loro genitori, ha occupato per molti giorni la scuola, impedendo che si svolgessero le lezioni. Il danno così causato alla comunità scolastica e alle casse dell'erario è stato gravissimo. È naturale che l'autorità giudiziaria ne chieda conto e ancor più che la scuola prenda le opportune misure educative affinché i ragazzi imparino a rispettare le regole, la cosa pubblica, i loro compagni e i soldi dei contribuenti. Naturalmente i genitori sostengono i loro “bambini”. Infatti sembra proprio che tali li vogliano mantenere e che con il loro atteggiamento iper-protettivo impediscano loro di crescere nella consapevolezza che oltre ai diritti devono essere salvaguardati anche i doveri. In altri contesti sociali europei sarebbe inverosimile una situazione del genere, tanto grave quanto poco seria, per parafrasare uno dei pochi intellettuali che al potere di ogni colore non fu per niente organico. I fanciulli sono stati in grado di farsi beffa di una comunità di oltre 1500 persone, di passare nottate dentro la scuola, di prendersi gioco di preside, professori, impiegati e compagni, ma non li si riconosce meritevoli di una sospensione da 10 a 15 giorni (solo per qualcuno si arriva a 21) e ci si attacca a qualche manchevolezza formale per impedire che i pargoli debbano pagare per le conseguenze della loro supponenza, della loro violenza e della loro irresponsabilità.
In tutta la faccenda ha stupito più di ogni altra cosa che alla ferma compostezza civica e morale  della Preside Addabbo abbia corrisposto la quasi assoluta latitanza delle autorità scolastiche a sostegno della dirigente e del principio di legalità. A parte la vicinanza espressa dal sottosegretario Toccafondi, nessun altro ha sentito la necessità di essere solidale con la collega, di stare accanto a lei, che so, per una quindicina di minuti durante le intere mattinate che Annamaria Addabbo, insieme a molti suoi docenti, ha trascorso all'esterno della scuola. Il baco uscito dalle muffe ideologiche di un passato che vorremmo laicamente lontano continua a credere che i bravi dirigenti siano quelli che evitano i conflitti e che se questi ci sono la colpa è loro: poco flessibili, poco comunicativi, poco inclini al "volemose bene" che tanto odiava l'intellettuale di cui sopra e che invece caratterizza la nostra visione – così  provinciale  e così privata – delle istituzioni pubbliche. Per certa gente un leader davvero carismatico non viene mai messo in discussione dagli studenti e dal personale in genere. Questa infantile miopia che accomuna adolescenti e adulti rimasti tali (e non a caso ideologicamente fermi agli anni settanta), non contribuirà a creare un bel futuro. I segni ci sono tutti per capirlo, ma agli accecati dall'ideologia questo non interessa. Per certa gente contano solo i diritti, o presunti tali, e guai se qualcuno non è disponibile a capirli e magari osa chiedere che le leggi vengano rispettate. I leader carismatici, si sa, non hanno bisogno di ricorrere alle regole e chissà se a forza di magnificarli prima o poi qualcuno si materializzerà sul serio. (Valerio Vagnoli)

martedì 15 dicembre 2015

I GENITORI CATTIVI MAESTRI

Al Liceo Artistico di Porta Romana i consigli di classe e il Consiglio di Istituto hanno deliberato la sospensione di 39 studenti responsabili dell’occupazione dell’Istituto per dieci giorni, durante i quali hanno impedito l’ingresso a studenti, docenti, amministrativi e custodi, oltre che alla Dirigente Anna Maria Addabbo. Per alcuni occupanti il periodo di sospensione arriva a 21 giorni.
Già nel post del 3 dicembre scorso, “Gli studenti e l’occupazione come diritto”, riferendo le lamentazioni degli studenti del Liceo Alberti dopo lo sgombero dell’istituto da parte della polizia, scrivevamo che è evidente in questi ragazzi la totale assenza di consapevolezza circa la gravità dei loro comportamenti e delle relative conseguenze. Se l’occupazione è pensata come l’esercizio di un diritto, ne viene di conseguenza che non può comportare sanzioni.
A Porta Romana sono di scena i genitori, come riferisce "La Nazione", scesi in armi contro i provvedimenti disciplinari. Invocano l’intervento dell’Ufficio Scolastico Regionale, annunciano ricorsi al TAR, minacciano forme di disubbidienza e, non c’era da dubitarne, denunciano il carattere repressivo e non educativo dei provvedimenti. Certo, con altri dirigenti sarebbe finita diversamente, tuttalpiù con un predicozzo accigliato. Qui per fortuna hanno trovato la porta sbarrata. Speriamo che una volta tanto a nessuno venga in mente di dargli ragione. (AR)

lunedì 7 dicembre 2015

MINISTRO GIANNINI, ESISTE PER IL GOVERNO UN PROBLEMA DI DISCIPLINA NELLE SCUOLE?

Gentile Ministro Giannini,
avrà senz’altro letto il mese scorso Che errore ignorare la scuola, l’editoriale in cui Ernesto Galli della Loggia si chiedeva se a viale Trastevere “sia mai giunta notizia che in moltissime realtà scolastiche italiane ormai si assiste a una vera e propria abolizione di fatto della disciplina”. Chi lavora nella scuola conosce bene questo problema, dovuto anche al disorientamento educativo di molte famiglie, e le conseguenze che ha già avuto e continuerà ad avere sull’apprendimento e sulla qualità della convivenza civile. Per non parlare di come incide sulle motivazioni e sulla stessa salute dei docenti.
Di fronte a una denuncia così impietosa e accorata era logico aspettarsi una sua risposta, che però non è venuta. Del resto il silenzio dei governi su un aspetto così centrale nella formazione, come il rispetto delle regole, dura purtroppo da decenni, con l’eccezione dei ministeri Fioroni e Gelmini. Quanto allo Statuto degli studenti di Berlinguer, sembra concepito per scoraggiare le sanzioni più che per garantire comportamenti corretti. Un precedente ministro è andato oltre al silenzio, invitando gli studenti a ribellarsi a genitori e insegnanti; e da un attuale sottosegretario è uscito perfino un caloroso apprezzamento delle occupazioni, in cui si infrangono leggi, si violano diritti degli altri e si sperpera denaro pubblico. Anche la Buona Scuola ignora totalmente la necessità della Buona Condotta; e dovrebbe invece essere considerata una priorità. Eppure è l’Ocse, non qualche acritico lodatore del tempo andato, a sostenere che “dove la disciplina è allentata, gli insegnanti sprecano tempo e gli studenti non sono concentrati a causa delle numerose interruzioni”; che “la maggior parte degli studenti è contenta quando c’è la disciplina in classe”; e che “le classi in cui vige la disciplina di solito hanno risultati migliori”. Sfortunatamente anche non pochi dirigenti e docenti ritengono in buona fede che non si debba mai punire, ma puntare solo sul dialogo e sul rinnovamento della didattica per prevenire e correggere i comportamenti sbagliati, mentre l’educazione alla responsabilità, cioè a rispondere di quei comportamenti, deve necessariamente prevedere anche delle sanzioni. Come lei sa, sembra difficile persino impedire durante l’orario scolastico l’uso del cellulare, fonte di distrazione, ma anche strumento utilizzato per forme di bullismo e per copiare durante gli esami: altro problema su cui varie sollecitazioni e denunce non sono state prese in considerazione.
Le chiediamo quindi, Ministro Giannini, di prendere tutte le possibili iniziative a sostegno della correttezza e della legalità nelle scuole, in modo che vi venga garantito il necessario clima di rispetto reciproco e di collaborazione nell’interesse degli studenti, dei docenti e in quello della collettività. Per parte nostra ci  permettiamo di avanzare un paio proposte:
- Modificare e integrare alla luce dell’esperienza lo Statuto degli studenti, in quanto norma generale sull’istruzione, inserendovi tra l’altro indicazioni sulle sanzioni in relazione almeno alle principali mancanze disciplinari, incluse quelle che si verificano nel corso delle occupazioni e degli esami di Stato. Si tratta tra l’altro di evitare eccessive differenze tra scuole in questa materia, pur salvaguardando il giusto margine di discrezionalità rispetto ai casi concreti.
- Promuovere occasioni di serio dibattito e di aggiornamento su temi come la crisi dei ruoli educativi e le sue cause, l’alleanza fra scuola e famiglia, la gestione della classe, il ruolo delle sanzioni educative, il contrasto al bullismo, i doveri come necessaria garanzia dei diritti e della solidarietà sociale.
Distinti saluti,
Gruppo di Firenze
per la scuola del merito
e della responsabilità

giovedì 3 dicembre 2015

GLI STUDENTI E L'OCCUPAZIONE COME DIRITTO

Mentre in diverse città italiane continuano le occupazioni delle scuole, sembra crescere finalmente l’insofferenza verso queste iniziative, finora viste con indulgenza e persino con simpatia da settori dell’opinione pubblica. La maggioranza degli studenti degli istituti interessati e i loro genitori hanno protestato vivacemente per la prevaricazione di una minoranza che viola il loro diritto allo studio. A Firenze la polizia si è decisa a intervenire senza pretendere l’esplicita richiesta della dirigente del Liceo Artistico Alberti, dopo anni in cui si limitava a raccomandare ai ragazzi di non fare danni. E a questo proposito “Tuttoscuola” si chiede: “Il vaso è colmo?” Si tratta di un buon segno, anche se è presto per trarre conclusioni ottimistiche. Tra l’altro il governo rimane del tutto indifferente di fronte a un fenomeno che costa ogni anno milioni di euro ai contribuenti.
Colpiscono in modo particolare le motivazioni degli occupanti per l’evidente sproporzione tra mezzi e obbiettivi, in genere riconducibili a carenze di attrezzature e di manutenzione dell’edificio scolastico, anche se viene poi richiamata ritualmente la riforma della “Buona scuola. Ma c’è di più. Prendiamo il caso del suddetto liceo artistico fiorentino, dove polizia ha fatto uscire gli occupanti barricati da tre giorni nella scuola. Le reazioni degli studenti dovrebbero far riflettere chi, anche all’interno del ministero, accredita alla leggera gli occupanti come interlocutori politici e come futura classe dirigente. Eccone alcune riportate dalle cronache: «Bell'esempio di democrazia, far entrare le forze dell'ordine in una scuola». «Gli agenti hanno approfittato del portone aperto per un attimo e sono entrati spintonando. Un ragazzo si è coperto il volto con uno zaino e loro gliel'hanno sbattuto a terra». E sulla preside: «È il giorno della sua sconfitta. Chiamare la polizia è un segnale chiaro: ha perso il controllo della scuola. E noi che volevamo persino rimbiancare le pareti...». «Non si risolvono i problemi da noi denunciati con l'uso della forza». Senza entrare nel merito delle singole frasi, è evidente che manca in questi ragazzi la consapevolezza di ciò che comporta un’occupazione: gravi violazioni della legalità; lesione del diritto allo studio dei compagni; ingenti risorse dilapidate; tempo scuola buttato alle ortiche a danno dell’apprendimento; una seria ferita al clima interno della scuola. In altre parole, si tratta della reazione di chi ritiene che l’occupazione sia un diritto.
Chi viola le leggi per motivi ideali e ha poi il coraggio di assumersene la responsabilità, accettandone le conseguenze anche penali, merita rispetto. Ma se è già difficile chiederlo a dei ragazzi, una simile coerenza diventa impossibile quando per decenni gran parte degli adulti minimizza, assolve o addirittura apprezza e incoraggia queste imprese. E quali esempi virtuosi vengono loro proposti quanto a modi di dissentire? Certo non la quasi costante impunità di chi blocca il traffico paralizzando città e autostrade, di chi sfascia vetrine e automobili durante le manifestazioni e di chi riempie i muri di scritte. Per questo l’iniziativa del Questore di Firenze è un indubbio passo avanti rispetto al passato anche sul piano educativo, malgrado che per arrivarci ci siano voluti dieci giorni di occupazione in un altro istituto e una forte pressione dei genitori e di gran parte degli insegnanti. È dunque urgente reintegrare a pieno nella nostra cultura il valore formativo delle sanzioni, rassegnandosi al fatto che il dialogo, la disponibilità e l’empatia non sempre bastano a far percepire a tutti l’inaccettabilità di certi comportamenti.
Giorgio Ragazzini

mercoledì 25 novembre 2015

UN OCCASIONE DA NON PERDERE: IL CONVEGNO SU "PIETRO LEOPOLDO E LA TOSCANA LABORATORIO DEI LUMI"

Si torna finalmente a parlare di uno dei più grandi riformatori europei del ‘700, il cui governo in Toscana iniziò nel settembre di 250 anni fa (1765). Alcuni studiosi illustreranno i principali aspetti della sua intensa opera riformatrice che fece della Toscana un vero e proprio “laboratorio dei lumi”, avviandola alla modernità. Il convegno si svolgerà in quella che il Granduca  elesse a sua residenza preferita, la villa di Poggio Imperiale, da lui trasformata in una vera e propria reggia.

sabato 21 novembre 2015

OCCUPAZIONI, LE RESPONSABILITÀ DEGLI ADULTI

Ogni generazione ha i suoi meriti e le sue debolezze. Un tempo i genitori erano sostenuti da idee educative condivise e da un'autorità indiscussa, ma erano in media meno attenti ai bisogni affettivi dei figli. Oggi sono in genere più capaci di vicinanza emotiva, ma mancano spesso di fermezza; e lo stesso vale per molti presidi e insegnanti. Ma, se non si comincia già dai primi mesi a introdurre un bambino ai limiti e alle regole che la realtà impone, si dovrà poi faticare per risalire la china. In realtà una cornice normativa adatta alle varie età rende i figli più sicuri, aperti e sereni, mentre l'eccesso di protezione e di indulgenza produce più irrequietezza e conflitti.
Con l'adolescenza cresce il bisogno di definirsi in contrasto con i genitori, di cui non si sopportano le vere o presunte imposizioni. In questa fase bisogna che famiglia e scuola consentano più autonomia ai ragazzi, tenendo però ferme le regole fondamentali della vita familiare e di quella scolastica. E questo anche nel loro interesse. In un periodo di forte e ansiogena evoluzione devono trovare negli adulti dei saldi punti di riferimento, anche, e forse soprattutto, quando si scontrano con i loro princìpi e i loro no.
La storia delle occupazioni conferma la diffusa incomprensione di questa esigenza, che nella scuola implica la tolleranza di comportamenti illegali, la mancata tutela del diritto allo studio e lo spreco di ingenti risorse pubbliche proprio mentre se ne denuncia l'insufficienza. Il mondo degli adulti, con non molte eccezioni, ha risposto ai giovani col silenzio o con pelosa indulgenza (come alcuni politici), o con messaggi confusivi. Di recente il preside fiorentino Ludovico Arte si è così espresso su “La Repubblica”: "Le occupazioni sul piano formale sono illegali. Ma nella storia succede molte volte di utilizzare la violazione di una regola per contestare qualcosa. Lo hanno fatto persone di indubbia moralità per ideali nobilissimi." Vero, ma si trattava, come nel caso di Gandhi, di disobbedire a leggi ingiuste, per di più accettando, a riprova della serietà del disobbediente, le conseguenze dei suoi gesti (nel caso della Marcia del sale le bastonate della polizia). Se una scuola è occupata, invece, la polizia non dovrebbe sgomberarla, perché "il contrasto alla prepotenza non può avvenire con atti prepotenti come lo sgombero". Ma è prepotenza il ripristino della legalità? Infine, il preside afferma che a certe condizioni l'occupazione può essere un’esperienza positiva. In realtà così si impedisce ai giovani di percepire con chiarezza la differenza tra lecito e illecito. E maturare diventa ancora più difficile.
Giorgio Ragazzini
(“La Repubblica Firenze”, venerdì 20 novembre 2015)

giovedì 19 novembre 2015

ESPOSTO ALLA MAGISTRATURA SULL'OCCUPAZIONE DEL LICEO DI PORTA ROMANA

COMUNICATO STAMPA 
Esposto al Procuratore della Repubblica di Firenze
e  al Procuratore Regionale della  Corte dei Conti
sull’occupazione del Liceo Artistico di Porta Romana

In data odierna Andrea Ragazzini e Sergio Casprini del GRUPPO DI FIRENZE  per la scuola del merito e della responsabilità hanno inviato un esposto alla Procura della Repubblica di Firenze e alla Procura Regionale della Corte dei Conti in relazione all’occupazione del Liceo Artistico di Porta Romana.
Nell’esposto, inviato per conoscenza anche al Sindaco di Firenze e al Questore, i due docenti scrivono che “come cittadini e come ex insegnanti  noi crediamo  che questa forma di protesta, quale che sia la motivazione, costituisca una grave lesione del diritto allo studio della grande maggioranza degli studenti del Liceo e un inaccettabile sperpero del pubblico denaro, con gli insegnanti impossibilitati a esercitare il loro ruolo, per il quale sono retribuiti dai contribuenti italiani.”
Chiedono pertanto al Procuratore della Repubblica e al Procuratore Regionale della Corte dei Conti “di valutare la sussistenza di motivi per prendere al riguardo i provvedimenti che riterrete opportuni, anche e soprattutto perché non abbiano a ripetersi in futuro.”

Firenze, 19 novembre 2015

sabato 14 novembre 2015

49 PRÈSIDI SOLIDALI CON LA COLLEGA DEL LICEO FIORENTINO OCCUPATO. “LE FORZE DELL’ORDINE INTERVENGANO PER RIPRISTINARE LA LEGALITÀ"

Probabilmente è la prima volta che un nutrito schieramento di dirigenti scolastici chiede esplicitamente alle forze dell’ordine di intervenire per restituire agli studenti, ai docenti e alla comunità l’uso di una scuola occupata, come legalità e Costituzione vorrebbero. E naturalmente va anche sottolineata l’importanza di una così consistente solidarietà alla dirigente coinvolta, fatto non frequente in queste situazioni. Resta lo sconcerto sulla riluttanza a intervenire tempestivamente da parte delle istituzioni quando è in atto questo genere estremo di occupazione, in cui viene calpestata una molteplicità di diritti, anche perché cosa che si traduce purtroppo in diseducazione alla legalità. (GR)

Il testo della lettera
I sottoscritti Dirigenti scolastici esprimono alla collega Annamaria Addabbo la piena solidarietà e il più sincero sostegno alla sua volontà di lottare perché il diritto alla studio della grandissima parte dei suoi studenti non sia calpestato da una minoranza che, da giorni, si è impadronita del Liceo di Porta Romana impedendo l’accesso all’edificio scolastico. Deprechiamo che sia stata completamente abbandonata da tutte le autorità che hanno competenza per garantire innanzitutto la legalità e il diritto alla studio. Questo diritto non può essere calpestato e non è più tollerabile che insieme ad esso siano buttati al vento decine e decine di migliaia di euro che lo Stato investe per garantire l’insegnamento. Auspichiamo che le forze dell’ordine intervengano per ripristinare la legalità.
Seguono le firme di Valerio Vagnoli, Roberto Curtolo, Andrea Marchetti e altri quarantasei dirigenti scolastici.
Occupazioni, i dirigenti si sentono soli

venerdì 13 novembre 2015

CHE DIREBBE PASOLINI (RITI, REGOLE, LIBERTÀ)

L'articolo prende spunto dall'occupazione in corso al Liceo artistico di Porta Romana a Firenze (già Istituto d'Arte). Una settantina di ragazzi, tra i quali alcuni di altre scuole, si sono barricati nella scuola da tre giorni. 

Ci risiamo con le occupazioni che, in alcuni casi, hanno assunto la forma di vera e propria prevaricazione violenta. In questi giorni, a distanza di 40 anni dalla sua morte, non sono mancati i richiami alla persona e alla personalità di Pier Paolo Pasolini e in occasione della recentissima visita del Papa a Firenze, l'applauso più intenso rispetto alle grandissime personalità cattoliche fiorentine del secolo scorso ricordate dal Cardinal Betori è andato a don Lorenzo Milani.
Rispetto a questa sorta di saturnali moderni che da decenni assicurano a sparute minoranze di studenti l'annuale appuntamento con il “rito” delle occupazioni, mi viene da chiedere cosa avrebbero scritto e detto queste due complesse e importanti personalità della cultura. Chi li conosce profondamente sa, senza tuttavia poterlo naturalmente dimostrare, per dirla con Pasolini, che entrambi si sarebbero fortemente indignati per quanto da decenni sta accadendo nelle scuole di certe aree del nostro paese sottoposte al rito delle occupazioni contrabbandate come forme di protesta. Ed invece, anche se gli studenti non vogliono sentirselo dire, proprio le occupazioni rappresentano a volte occasioni per la miglior iniziazione al consumismo, trasformandosi in discoteche, paninoteche, centri di avviamento al fumo e alla goliardia più sfrenata, come si evince dalla condizione in cui spesso si trovano le scuole alla fine dei saturnali.
Naturalmente con i ragazzi dobbiamo avere pazienza, molta di più di quanto ne avrebbe avuta per esempio don Milani che non rinunciava, anche per piccole trasgressioni, perfino alle sberle, e non rinunciare pertanto al dialogo. Ma occorre anche saper essere nei loro confronti degli adulti seri e metterli davanti alla loro responsabilità anche prendendo, quando occorre, misure drastiche sul piano disciplinare. A certi educatori, il solo accennare a delle misure disciplinari nei confronti anche di studenti delle ultime classi, fa venire in mente lo stato di polizia, o roba del genere. Ed invece forse ancor peggio dello stato di polizia è quello di stampo permissivista che permette il venir meno di qualsiasi obbligo nei confronti dei compiti che ciascuno di noi è chiamato a ricoprire, siano questi propri dei ragazzi e adolescenti o degli adulti. Recentemente una scrittrice, Dacia Maraini, grande amica peraltro di Pier Paolo Pasolini, ha affermato che più regole ci sono e più è garantita la libertà che, appunto, non consiste nel fare quello che si vuole senza pagarne peraltro il conto. Il conto, invece, nel caso delle occupazioni lo pagano innanzitutto gli studenti che vorrebbero andare a scuola e i cittadini che vedono sprecati i loro soldi perché ogni giorno in cui saltano le lezioni vengono buttati al vento migliaia e migliaia di euro.
Quello che ancora stupisce è che vi siano dirigenti e docenti disposti ad opporsi a questo sfacelo culturale accettando, nel silenzio immorale dell'apparato ministeriale, di essere spesso soli a rivendicare quello che in un paese civile e democratico dovrebbe essere ovvio: e cioè che la libertà di ciascuno finisce quando inizia quella degli altri. Se non siamo in grado di indurre i giovani a rispettare ciò, a che serve questa scuola?
Valerio Vagnoli 
(Corriere Fiorentino, 13 novembre 2015) 
Per saperne di più: Occupazione, la prova di forza e  Io, da sola a combattere l'illegalità.

lunedì 2 novembre 2015

BONUS PER L’AGGIORNAMENTO: MEGLIO AVERLO CHE NON AVERLO…

Il bonus di 500 euro per l’aggiornamento sta ricevendo molte critiche proprio da parte dei docenti, alcuni dei quali arrivano a rispedirlo al mittente, a quanto si apprende da molti commenti sul web. Eppure si tratta di una cifra non proprio miserevole e di una novità assoluta per la scuola italiana. Peraltro la libertà di spesa è molto ampia e legittima scelte tra loro diversissime. Si potrà usare per visitare mostre e musei, per acquistare libri, materiali informatici, film o per frequentare corsi di aggiornamento finalmente scelti e non imposti, come pur è accaduto in passato.
Il dubbio è che certi docenti non sarebbero stati consenzienti a prescindere e anche se la cifra fosse stata dieci volte più grande forse qualcuno avrebbe avuto da ridire. Gli insegnanti, e gli stessi dirigenti italiani, hanno molte ragioni per lamentarsi, ma se lo fanno ugualmente di fronte a novità anche simbolicamente importanti finiscono con rischiare di delegittimarsi, come sempre si delegittima chiunque sia per principio incontentabile.
Personalmente mi dispiace che i dirigenti scolastici non abbiano anche loro a disposizione questi 500 euro, perché, pur non essendo probabilmente sufficienti a coprire tutte le spese di carattere culturale, avrebbero tuttavia rappresentato un segno di attenzione per il nostro lavoro. Meglio che nulla mi sarei accontentato della possibilità di detrarre 250 euro in acquisto libri che un tempo era concessa ai docenti e che nell'indifferenza di tutti fu tolta. E non mi costava certamente fatica conservare in una busta gli scontrini delle librerie. Oggi agli insegnanti si concede molto di più e almeno varrebbe la pena apprezzare la novità. Quanto alle mostre o ai musei, anche pubblici, constato che ai docenti e al mondo scolastico in genere non si garantisce neanche quel poco di sconto che invece spesso si riconosce a chi ha la tessera di questa o quella associazione o catena di esercizi commerciali. Tuttavia quando ci troviamo, come in questo caso, di fronte a un pur piccolo ma concreto miglioramento rispetto al passato, i toni irrisori, negativi e ipercritici da parte di molti addetti ai lavori mi appaiono davvero incomprensibili. In questo come in altri campi è importante essere in grado di riconoscere qualche aspetto positivo anche nell’azione di governi e di ministeri che per il resto si contrastano aspramente. Con il vantaggio di presentarsi come oppositori credibili e non pregiudiziali. (Valerio Vagnoli) 

LA RISCOPERTA DI UN GRANDE RIFORMATORE: PIETRO LEOPOLDO GRANDUCA DI TOSCANA



giovedì 22 ottobre 2015

ECCO PERCHÉ LE GITE VANNO FERMATE

Mercoledì notte, uno studente di Cecina in viaggio di istruzione a Milano con la propria classe è precipitato dal sesto piano dell'Hotel morendo sul colpo. È il secondo caso che si verifica nel giro di pochi mesi. È quasi certo che il ragazzo abbia fatto uso di alcol e di sostanze stupefacenti acquistate prima della partenza per Milano per visitare Expo. Che all'interno delle classi in queste occasioni ci sia spesso qualcuno che ne approfitta per fare esperienze “iniziatiche”, è un dato di fatto, salvo fare come gli struzzi. È sufficiente parlare con i nostri studenti, se godiamo della loro fiducia, per sapere che questo corrisponde a verità. Malgrado le evidenze, i viaggi d'istruzione si continuano a svolgere, con tutti i rischi a cui i ragazzi e i docenti vanno incontro.
Alla notizia della tragedia milanese, la ministra Giannini, oltre a esprimere il proprio sgomento, ha voluto tuttavia ribadire che i viaggi non si mettono in discussione. E invece avremmo dovuto già farlo da anni, spiegando i motivi per cui sarebbe bene abolire quelli di più giorni. In qualche anno scolastico c’è stata una loro diminuzione, ma più che altro perché i docenti si sono rifiutati di parteciparvi per motivi sindacali. Eppure succede spesso durante la notte che qualche gitante esca dalle finestre per raggiungere altre camere, correndo rischi enormi, che vengano danneggiate le camere, che i clienti dell’albergo protestino per il chiasso degli studenti, a volte sotto l’effetto di alcol e droghe; e sono in crescita le agenzie turistiche che chiedono ai gitanti un fondo di riserva per ripagare gli eventuali danni causati agli hotel. Stupisce che, malgrado tutto, i docenti  continuino a farsi carico di un impegno così rischioso e stressante, che peraltro viene incredibilmente assicurato senza il pur minimo riconoscimento economico. E c’è ormai chi vorrebbe che tra i loro doveri ci fossero turni di vigilanza notturna, come già a volte accade e come già pretenderebbero alcune sentenze dei tribunali amministrativi. Purtroppo ci sono già vite di insegnanti rovinate per una vera o pretesa omissione, con tanto di cessione della casa per rifondere i danni e depressioni gravi da curare. Oltre a questo, vedere come alcune gite nascono è deprimente: spesso sono i ragazzi a proporre le destinazioni e a cercare di convincere ora questo ora quel docente ad accompagnarli; e non mancano i genitori che si permettono perfino di contestarli se si negano a questi impegni.
Che le tragedie di quest'anno servano almeno a rendere più responsabile il mondo della scuola, i ragazzi e le loro famiglie! L’Italia ha tali ricchezze artistiche e ambientali che si possono fare utilissime gite anche di una sola  giornata. Ma se si vuole perseverare con le notti in albergo, almeno si prevengano certi comportamenti stabilendo sanzioni severissime per chi sgarra, si assicurino i docenti a carico della scuola e li si retribuisca dignitosamente. Dato che ci siamo, si scelgano e si organizzino le gite in modo che abbiano una reale valenza sul piano didattico. Le bolge di studenti che in questi mesi hanno girovagato per l’Expo, stimolati e invogliati a farlo dallo stesso ministero, sono stati quasi sempre un pessimo esempio di quello che dovrebbe essere un viaggio di istruzione: innanzitutto una scoperta ulteriore di se stessi attraverso la scoperta di cose nuove, e non una ritualità o una semplice ragione per stare insieme.
Valerio Vagnoli

(“Il Corriere Fiorentino”, 21 ottobre 2015)

domenica 11 ottobre 2015

QUATTRO INSEGNANTI TRA I PREMIATI DA MATTARELLA

È una bella novità la scelta del Presidente della Repubblica di dare una delle massime onorificenze a 18 eroi “normali”, come titola il “Corriere della Sera” di oggi. Capita di trovare in casa di un conoscente, in bella mostra alla parete, onorificenze di questo o quel presidente. In genere non suscitano grande interesse,  se addirittura non si sospetta che siano dovute alla conoscenza di qualche politico. Stavolta, invece, viene da pensare che le persone scelte, anche come simbolo di tanti loro colleghi, lo siano state in virtù del loro impegno silenzioso e costante, senza altri fini se non quello di migliorare la vita degli altri, con questo migliorando anche la propria e quella di chi verrà dopo di noi. Tra i diciotto premiati vi sono ben quattro docenti, alcuni ancora in servizio e altri in pensione, che nelle loro storie rappresentano un gran numero di insegnanti italiani, anzi la grande maggioranza, che, oltre a fare benissimo il loro mestiere,  alla scuola dedicano gran parte della loro vita perfino dopo essere andati in pensione.  Altro che 18 ore di lavoro settimanale! Si tratta invece  di impegni e responsabilità che difficilmente sono immaginabili se non si lavora all'interno delle scuole. Di questo impegno si parla solitamente ben poco, né lo si riconosce sul piano economico. Lo stesso Francesco Merlo, non sempre tenero nei confronti degli insegnanti, sostiene che nessuna riforma della scuola potrà avere successo se non si parte da una retribuzione finalmente “europea”.  Le scuole non funzionerebbero, se non ci fossero decine di docenti che si impegnano, non di rado senza essere retribuiti o per pochi euro, nelle commissioni, nelle attività di orientamento, in quelle di alternanza scuola-lavoro, nella formulazione degli orari,  nella redazione di atti e documenti (a volte purtroppo di assoluta inutilità), nella preparazione di materiali didattici, oltre che nei consigli di classe, nei rapporti con genitori sempre più supponenti, nella correzione dei compiti e nella preparazione accurata delle lezioni.
Spesso parliamo innanzitutto delle cose che nella scuola non funzionano, anche per responsabilità del personale che vi opera. Tuttavia sfugge a molti che la quotidianità nella gran parte delle nostre scuole è una fitta trama di contributi, ordinari e straordinari; e il riconoscimento di Mattarella all’impegno e alla generosità di quattro colleghi in qualche misura va anche ai tanti altri che giorno dopo giorno fanno vivere la scuola.
Valerio Vagnoli

domenica 4 ottobre 2015

PREVENIRE LE OCCUPAZIONI: PARTECIPAZIONE E NORME AD HOC

Una scuola che abbia davvero a cuore la crescita civile e culturale dei ragazzi non può certo avallare o minimizzare comportamenti come le occupazioni, che ne impediscono il funzionamento e ne danneggiano la credibilità. D'altra parte, la scuola può legittimamente diventare il luogo dove gli allievi possono progettare e organizzare momenti di approfondimento e di discussione su temi di loro interesse. In altre parole, una prevenzione efficace delle occupazioni, come dimostrano alcune esperienze, dovrebbe avere due cardini: la disponibilità a soddisfare le esigenze di autoespressione e di partecipazione degli studenti; la presenza nel regolamento d'istituto di norme ad hoc che indichino con chiarezza limiti e valori da rispettare.
La partecipazione studentesca deve basarsi su progetti concordati tra la scuola e gli studenti, qualcosa di strutturato e di previsto fin dall'inizio dell'anno. Può trattarsi di tre o quattro giornate di "didattica flessibile", sperimentate con successo a Roma, con iniziative di carattere culturale o orientativo, meglio se distribuite nel corso dell'anno; di spazi programmati di discussione, anche nel corso delle assemblee mensili previste; e altro ancora. Bisogna evitare, invece, di concedere, sotto la minaccia dell'occupazione, le cosiddette autogestioni, sia per una questione di principio, sia perché improvvisate e quindi generalmente inconcludenti.
Si dovrebbero prevedere anche occasioni di dialogo preventivo con i genitori, in cui evidenziare i danni sostanziali che derivano dalle occupazioni: spreco di soldi pubblici proprio mentre si rivendicano maggiori finanziamenti per la scuola, percentuali dell'anno scolastico andate perse, quindi conoscenze e competenze non acquisite.
Quanto alle regole da includere nei regolamenti di istituto per scoraggiare le occupazioni, dovrebbero riguardare comportamenti come la permanenza non autorizzata nell'edificio scolastico, l'ingresso nella scuola forzando porte e finestre, l'impedire l'ingresso al personale della scuola, il danneggiamento di ambienti e attrezzature, l'interruzione delle lezioni. Devono essere inoltre esplicitati i compiti dei docenti in caso di occupazione. Va infine chiarito che la valutazione finale del comportamento deve essere fatta in base a tutti e due i quadrimestri e che quindi un'insufficienza nel primo quadrimestre non rimarrà ininfluente.
Sarà naturalmente compito delle singole scuole stabilire le relative sanzioni (anche a scanso di ricorsi). È importante, però, che siano adeguate alla gravità dei comportamenti, perché altrimenti la scuola darebbe ai ragazzi un messaggio educativo debole e contradditorio. Con queste regole, gli studenti potranno essere sanzionati non genericamente per "occupazione", ma per una pluralità di comportamenti di indiscutibile gravità, che però sono spesso assenti nei regolamenti di istituto.

Proposte di integrazione ai regolamenti di istituto

È utile una premessa al Regolamento che sottolinei la responsabilità della scuola come istituzione al servizio della collettività. Per esempio:
Le regole di comportamento indicate in questo regolamento servono a garantire il rispetto reciproco, la cura per l'ambiente scolastico e la serenità necessaria alle attività didattiche. Solo a queste condizioni la scuola può assolvere il compito di trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio culturale che ci accomuna. Questo compito le è stato affidato dalla collettività, che lo sostiene con i soldi dei contribuenti.

NORME 

Costituiscono gravi mancanze disciplinare i seguenti comportamenti:
- entrare o rimanere nell'edificio scolastico al di fuori delle ore di lezione, delle attività programmate dall'istituto o di quelle autorizzate dal dirigente scolastico;
- interrompere o impedire lo svolgimento dell'attività didattica;
- non partecipare alle lezioni pur essendo all'interno dell'edificio scolastico (salvo che in casi particolari con l'autorizzazione dell'insegnante);
- entrare nella scuola forzando porte o finestre;
- impedire l'ingresso al personale della scuola o ad altri studenti. 

Danni
- Gli studenti sono tenuti al massimo rispetto degli ambienti scolastici, degli arredi, delle attrezzature, sempre avendo presente che i relativi costi sono sostenuti dalla collettività. Chiunque li danneggia è tenuto a risarcire la scuola e incorre nelle sanzioni disciplinari previste dal presente regolamento.

Voto di condotta
- In sede di scrutini finali il Consiglio attribuirà il voto di condotta tenendo anche conto dei comportamenti relativi al primo quadrimestre, come dispone il Decreto Ministeriale n.5/2000, all'art. 5, comma 1 ("Ai fini della valutazione del comportamento il Consiglio di classe tiene conto dell'insieme dei comportamenti posti in essere dallo stesso durante il corso dell'anno").
- La scuola valuta sul piano disciplinare le infrazioni alle disposizioni del presente regolamento, fatte salve ulteriori responsabilità di carattere penale.
Compiti dei docenti
- In caso di occupazione i docenti sono tenuti a svolgere le lezioni, al limite anche a un solo allievo; nel caso che fosse loro impedito di farlo, devono riferirlo per scritto al dirigente, indicando i nominativi dei responsabili, se ne sono a conoscenza. Sono inoltre tenuti a individuare, in collaborazione con i colleghi, gli allievi che sono presenti a scuola, ma non in classe, e ad annotare i loro nomi, differenziandoli dagli assenti veri e propri.

[Le proposte si basano, con alcune modifiche e integrazioni, sui documenti elaborati da un gruppo di 18 presidi toscani e dal Gruppo di Firenze nel 2011 e sulle indicazioni emerse nel convegno dell'Associazione Nazionale Presidi "La scuola: un bene della comunità", svoltosi il 22 ottobre 2013 a Roma.]

martedì 29 settembre 2015

UN RICORDO DI GIORGIO ISRAEL

Giorgio Israel è stato un acuto e attrezzatissimo critico militante delle politiche scolastiche degli scorsi decenni e degli ultimi anni in particolare. Non era però una delle tante voci “contro” condizionate da ragioni di schieramento politico, spesso con l’aggravante di una conoscenza superficiale delle cose scolastiche. Israel si distingueva invece per una approfondita competenza in materia, per la lucidità unita alla passione e per  l’indipendenza di pensiero anche rispetto a governi da cui pure era stato chiamato a fornire un contributo di idee in commissioni ministeriali, come nei casi della riforma dei licei e del percorso formativo dei futuri insegnanti.
Per noi del Gruppo di Firenze, Israel è stato fin dall’inizio un importante  punto di riferimento e un prezioso sostenitore di tutte le nostre iniziative, a cominciare dalla lettera aperta  del 2008 Scuola, un partito trasversale del merito e della responsabilità, di cui fu uno dei primissimi firmatari. La presentazione del documento al Liceo Visconti fu l’occasione per conoscersi anche di persona. Da lì cominciammo a scriverci e a sentirci per segnalare o commentare l’ennesima sciocchezza ministeriale, per scambiarci documenti oppure per suggerire lui a noi qualche iniziativa o noi a lui di intervenire su una questione all’ordine del giorno. 
Israel ha più volte messo in guardia sull’acritica esaltazione delle tecnologie informatiche (“la faccenda dei nativi digitali è un'immensa bufala, forse inventata dai venditori di materiali informatici”, ci scrisse una volta). Ha criticato più e più volte le pretese di valutazione “oggettiva”, per non parlare delle notissime polemiche sull’Invalsi e sul rischio di orientare l’insegnamento alla soluzione dei test. Ha difeso il ruolo della scuola pubblica e combattuto la tendenza a metterla al servizio degli utenti (“la cultura e la conoscenza non sono prodotti e servizi e nell'istruzione l'interesse sociale e nazionale deve imporsi sugli interessi specifici”). Ha denunciato “l’ideologia della sostituzione della scuola delle conoscenze con la scuola delle ‘competenze’ promossa da un network di pedagogisti e di dirigenti ministeriali”, con la conseguente inondazione di griglie e documenti di certificazione, fino all’ultimo uscito, in cui “si procede fino all’esclusione di ogni possibile valutazione negativa del rendimento dello studente”. Sarebbe molto lungo l’elenco completo dei temi affrontati da Giorgio Israel nei suoi interventi. Ma sarà bene andare spesso a rileggerli sul suo blog. Ne sentiremo un po’ meno la mancanza.

lunedì 21 settembre 2015

IL BAMBINO E L'ACQUA SPORCA NELLA SCUOLA ANNI '70

Dedicato a quel gruppo di colleghe e colleghi di Via dei Bassi che negli anni Settanta,  pur coltivando nei bambini lo straordinario strumento della fantasia, non vennero tuttavia  mai meno al rigore e alla necessità di contrastare alcune idee, non di rado  distruttive, della didattica imperante.

Finalmente si riscopre il dettato. Naturalmente accade all'estero, precisamente in Francia,  ma non è detto che prima o poi ritorni ad essere, soprattutto alle elementari, l'esercizio chiave, un tempo quotidiano, della nostra scuola di base, quello che ha permesso d'insegnare l’italiano agli italiani. L'averlo ridotto ai minimi termini ha contribuito, come ha scritto recentemente Tullio De Mauro, a formare un impressionante numero di disgrafici, dietro al quale forse non mancano operazioni di carattere speculativo. Al dettato aggiungerei anche il riassunto, esercizio anch'esso di primaria importanza per abituare i bambini a strutturare i loro pensieri e le loro competenze, non solo linguistiche. La consequenzialità dei fatti, l'ordine della struttura grammaticale, soprattutto dei tempi verbali, la necessità di scegliere le parole giuste e progressivamente diverse rispetto a quelle presenti nel testo da riassumere, trasferiscono nella mente dei bambini un bagaglio di strumenti indispensabili per  affrontare tutte le materie con una maggior sicurezza; una sicurezza che da decenni non riusciamo quasi più a trovare in molti dei nostri studenti delle superiori e delle stesse università. Da molti anni, inoltre, prendiamo purtroppo atto della sempre più scarsa attenzione per la calligrafia e ciò, oltre a non dare ordine e struttura ai nostri pensieri e alle nostre parole, contribuisce senz'altro a creare ulteriori disgrafici. Se un docente delle superiori si “picca” di pretendere la scrittura in corsivo, è facile che nel giro di pochi giorni spunti fuori una certificazione di dsa che oggi mi sembra non si neghi a chiunque ne faccia richiesta. Devo tuttavia far presente, almeno per la mia esperienza di docente di lettere nelle superiori in tempi in cui i dsa erano meno di moda, che non sempre i miei colleghi erano disposti a stabilire un tempo entro il quale l'allievo doveva imparare il corsivo, pena una pessima valutazione dei compiti. Mi è capitato frequentemente d'incontrare all'esame di Stato ragazzi che ancora non erano in grado di scrivere in corsivo e che dovevano quindi concentrare i loro sforzi, piuttosto che sui contenuti,  nello scrivere in modo leggibile, talvolta senza neanche riuscirvi.
Ma anche la tradizione letteraria era sotto tiro in quegli anni. Come dimenticare una collega  di un  istituto superiore livornese  che al posto dei Promessi sposi faceva leggere l'autobiografia di un calciatore considerato, allora, impegnato!  Quando incontro invece  qualche mio ex allievo, a volte sono stato benevolmente rimproverato perché non gli avevo fatto studiare a memoria altri canti della Commedia o di Leopardi, avendo nel frattempo verificato quanto sia importante, nella vita e nel lavoro, avere una memoria ben sviluppata e allenata. Purtroppo l'ondata “progressista” dei docenti entrati con me nella scuola negli anni settanta voleva rivoluzionare tutto quello che sapeva di stantio, di passato, di borghese, senza nemmeno chiedersi se, insieme a una didattica senz'altro da buttare, vi fosse una tradizione da mantenere. Una tradizione che aveva saputo trovare e conservare strumenti di base fondamentali per insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto anche a bambini i cui retroterra culturali e sociali non avevano nulla da invidiare (si fa per dire) a certi contesti del nostro attuale terzo mondo.  Non riuscì a far riflettere i nostri pedagogisti e il nostro mondo scolastico (smettiamola di pensare che i docenti non abbiano delle responsabilità sulla decadenza della scuola e che siano sempre vittime degli psicopedagogisti o dei governi di turno!) quello che è considerato il testamento spirituale di Italo Calvino, un modernissimo che, poco prima di morire, aveva voluto lasciare agli uomini del nuovo secolo questi consigli: “Se tutto è fantasia non si realizza niente. Imparare poesie a memoria, fare calcoli a mano e combattere l'astrattezza del linguaggio. Sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all'altro”. (Valerio Vagnoli)

lunedì 14 settembre 2015

L'ETERNO SESSANTOTTO (“Il Corriere Fiorentino”, 13 settembre 2015)

Caro direttore, è legittimo indire per il primo giorno di scuola un’assemblea sindacale, come quella di martedì 15 a Firenze, di quattro ore sulla legge di riforma? Certamente lo è, dato che le norme lo consentono. È stata opportuna questa iniziativa dei sindacati? In merito sono state espresse fondate valutazioni critiche da diversi punti di vista. Non si è tenuto conto dell’importanza del primo giorno di scuola per gli allievi, soprattutto quelli delle prime; appare una scelta furbesca, uno sciopero mascherato che mette in difficoltà molti genitori senza la trattenuta sullo stipendio; è un autogol dei promotori, che rischiano di perdere credibilità e simpatie penalizzando soprattutto le famiglie dei lavoratori. La faccenda si fa ancora più seria se si tiene conto che, nelle intenzioni dei sindacati scuola, questa  vuole essere solo la prima mossa di una “resistenza attiva” alla legge di riforma. La Gilda, ad esempio, invita i docenti a “non accettare la nomina a coordinatore di classe, dipartimento, coordinamento per materia, responsabile di laboratorio, l´incarico di responsabile di plesso, la nomina a staff della dirigenza e quella di collaboratori del dirigente,  oltre che a ostacolare l’elezione del comitato di valutazione degli insegnanti. In pratica, a paralizzare la scuola. “Tuttoscuola” parla di “strappo istituzionale” e sottolinea che “piaccia o no, ora la 107/15 è legge e, come tale, va applicata, soprattutto da parte di chi (dirigenti e personale) ha l’obbligo di farlo. Se vi sono nella legge norme di dubbia legittimità, esistono forme e strumenti per impugnarle”. Per esempio, sul punto forse più contestato della riforma, quello che consente ai presidi di nominare almeno una parte dei docenti, è in corso la raccolta di firme per un referendum abrogativo promosso da Giuseppe Civati.
Ancora una volta sembra che certo mondo scolastico non riesca a scrollarsi di dosso un eterno ‘68, incurante dell’esempio che, come educatori e servitori dello stato, si dovrebbe dare ai ragazzi, innanzitutto quello del rispetto delle leggi. Salvo pensare che questa sia una riforma liberticida e che ciò sia sfuggito ai parlamentari e al Capo dello Stato.
Succede poi spesso che una parte di chi aderisce alle assemblee poi non partecipa, usandole di fatto come permesso, tanto il preside per legge non può controllare le presenze. E in passato, in qualche scuola, la riunione è stata perfino annullata perché non c’era nessuno. Serietà vorrebbe che  questi incontri, importanti sotto il profilo democratico e professionale, si tenessero al pomeriggio. La scuola non è una fabbrica e le riunioni pomeridiane fanno parte della normalità. Ne guadagnerebbero in prestigio i sindacati e gli insegnanti, e si eviterebbe anche uno dei tanti tagli alle lezioni durante l’anno scolastico. 
Giorgio Ragazzini e Valerio Vagnoli
Gruppo di Firenze per la scuola
del merito e della responsabilità

domenica 23 agosto 2015

IL PREZZO DEL POSTO DI RUOLO

Decine di migliaia di docenti immessi finalmente in ruolo: è una bella novità, che servirà a dare sicurezza economica e psicologica a chi questo lavoro lo ha cercato e voluto a costo di aspettare anni e anni. Eppure non mancano coloro che ci rinunciano, rifiutandosi di andare a lavorare in altre regioni del Paese, solitamente quelle del nord, perché costretti a lasciare la famiglia e a sostenere spese non indifferenti, soprattutto rispetto a stipendi a dire il vero indecorosi. E se anche in passato altre decine e decine di migliaia di insegnanti meridionali si son dovuti sobbarcare l'impegno di trasferirsi in altre regioni, vivendo la difficoltà di allontanarsi dai propri affetti e dal proprio retroterra sociale e culturale, è pur vero che in media gli attuali immessi in ruolo superano i quarant’anni e che non pochi arrivano ai cinquanta: un’età in cui è più difficile cambiare vita. Tuttavia, pur comprendendo tutte queste difficoltà, viene da chiedersi cosa si potessero mai aspettare questi docenti, quando per lunghi anni lottavano per la stabilizzazione. Si sa che le classi nel meridione sono da anni in calo e che da ancora più tempo vi sono in crescita i laureati che aspirano all’insegnamento. Di qui l'inevitabilità, almeno per molti, di spostarsi dove ci sono cattedre libere. A meno di non ricorrere ad una migrazione forzata dei ragazzi di altre regioni verso quelle meridionali… Battute a parte, sarebbe opportuno che chi protesta indicasse almeno un’alternativa plausibile. Nelle attuali condizioni non lo sarebbe la richiesta – seppure sacrosanta in teoria – di un forte aumento di stipendio per la categoria, che consentisse tra l'altro a chi si sposta di compensare in parte il sacrificio. Questo infatti non è possibile e non lo sarà fintanto che il numero dei docenti sarà così esageratamente alto. Da qualche decennio la scuola italiana è una struttura elefantiaca, funzionale in particolare a dare occupazione a centinaia di migliaia di laureati, soprattutto del Sud, che non potrebbero spendere i loro titoli accademici in altro modo. Chi è da tempo nella scuola sa che non è raro imbattersi in consigli di classe in cui il numero dei docenti è addirittura superiore a quello degli allievi e che, salvo i percorsi liceali, gli altri indirizzi sono letteralmente sommersi da un numero tale di materie (e quindi degli insegnanti) da rendere frammentario e dispersivo lo studio e l'impegno degli studenti.
La riforma prevede che in futuro si accederà all'insegnamento attraverso concorsi regionali, ma nulla dice sulla necessità di diminuire il numero delle materie, soprattutto nei tecnici e nei professionali. Con il risparmio che ne verrebbe si potrebbe forse portare finalmente gli stipendi dei docenti italiani a livello dei loro colleghi europei e fornire alle scuole quelle strutture (laboratori, palestre, piscine, mense...) indispensabili a renderle, appunto, delle vere scuole. (VV)

giovedì 13 agosto 2015

PER COMBATTERE LA DISOCCUPAZIONE CI VUOLE UNA VERA FORMAZIONE PROFESSIONALE

“Orizzonte Scuola”, 9 agosto 2015 – Purtroppo la disoccupazione giovanile, dopo alcuni mesi di timida ripresa forse legata alle pur importanti misure governative sul lavoro, ha ripreso a crescere. E temo che ciò sia destinato a confermarsi nel tempo se non porremo i ripari alla necessità di ricostruire il legame tra il mondo del lavoro e i giovani che in Italia si è rotto da qualche decennio.
Da quando, cioè, con responsabilità trasversali di tutti gli orientamenti politico-culturali del Paese, si è demonizzato il lavoro, in particolare quello manuale, in quanto si è pensato che le magnifiche sorti e progressive sarebbero state assicurate da una cultura liceale, e  possibilmente universitaria, aperta a tutti.
Gli ideologi, a parole, del progresso, forse si illudevano che  attraverso questa struttura della scuola sarebbe avvenuto finalmente il riscatto delle masse proletarie alle quali, da sempre, era stata preclusa la formazione liceale quella che, un tempo, assicurava l’appartenenza alla classe dirigente. Insomma, la scuola, come è tipico dei regimi e non delle democrazie, doveva servire a creare dei cittadini modellati su una visione univoca della cultura e della formazione eliminando quello che è il vero scopo della scuola in una democrazia: intercettare le vocazioni dei ragazzi e aiutarle a realizzarsi  anche se orientate verso il lavoro manuale, perché la loro felicità e la loro affermazione nella vita passa dal fare bene e volentieri quello che scelgono di fare: ciascun lavoro ben fatto, qualunque esso sia, è sempre il frutto di un uomo ben fatto. Invece questo tipo di formazione e questa attenzione nei confronti del mondo del lavoro è stata esorcizzata ed esecrata  in ogni modo. L’esperienza pratica è inesistente nella scuola elementare e nella media le ore di educazione tecnica si svolgono solitamente  nelle aule normali perché i laboratori sono stati anch’essi banditi dalle scuole pensando che sarebbero stati sostituiti da quella sorta di mantra pedagogico che nella vulgata formativa di questi anni è diventata, o dovrebbe diventare, la didattica laboratoriale. Gli istituti professionali di Stato  sono talmente lontani dal dare ai ragazzi una vera formazione professionale da rappresentare oramai una vera e propria fucina per riempire certi indirizzi universitari inutili e  destinati in generale  a sfornare futuri disoccupati  e non a formare ragazzi preparati e motivati ad entrare nel mondo del lavoro, a testa alta e con responsabilità.
Anche nella vita quotidiana, magari in quella delle vacanze, ad un adolescente o ad un giovane che lo volesse fare  è pressoché reso impossibile, anche per la stupidità di molta burocrazia, poter svolgere uno qualsiasi di quei lavoretti che tantissimi della mia generazione hanno avuto la fortuna di poter svolgere: dal barista estivo al vendemmiatore autunnale, dalla babysitter,  al magazziniere o al raccoglitore di angurie e  pomodori. Erano esperienze, sebbene svolte purtroppo in regime di sfruttamento, che tuttavia servivano ad orientarci, a valorizzare il lavoro manuale e gli adulti che lo svolgevano.
In compenso, da molti anni, nell’indifferenza di tutti e perfino delle stesse  forze sociali e sindacali, come ha ben messo in evidenza, l’altro giorno su Sette, Gianantonio Stella, molti di questi  lavori manuali sono svolti in condizioni di autentica schiavitù da parte degli immigrati.
La società del bengodi che sembrava  accompagnare la vita delle generazioni future si è  da tempo dileguata ed è compito anche della  scuola aiutare i ragazzi a fare i conti con la realtà e con il lavoro che forse cresce se vi è  anche la consapevolezza della sua importanza e di come sia  altrettanto importante affrontarlo con responsabilità e preparazione. Perché questo accada, le pur innovative  misure prese dal governo in merito all'alternanza scuola-lavoro non sono sufficienti. Occorre, insomma,  trasformare radicalmente i nostri istituti professionali ridando loro  una precisa identità, quella identità che un tempo li caratterizzava e che, non a caso, è stata recuperata dal modello trentino che funziona, eccome se funziona.
Valerio Vagnoli