venerdì 29 aprile 2016

COME NON SELEZIONARE GLI ISPETTORI

È di circa un anno fa la bella sorpresa dell’immissione in ruolo di un paio di ispettori scolastici per Regione, andati  a rimpiazzare posti in generale lasciati vuoti da tempo. Al contrario di paesi come Francia o Inghilterra, l’Italia può contare tradizionalmente su un numero assai esiguo di queste figure, in generale poco amate da certa cultura nazionale poco incline ai controlli. Da qualche settimana agli ispettori di ruolo se ne stanno aggiungendo altri, in media quattro-cinque per regione, selezionati per  soli titoli e servizi, con incarichi triennali.
Lascia perplessi la poca trasparenza che c’è stata, in generale, nella selezione di queste figure. La Costituzione, l’etica e il rispetto dei contribuenti imporrebbero che la selezione del personale statale avvenisse per concorso. E anche quando questi concorsi sono per titoli e servizio prestato, come nel caso in questione, sarebbe stato molto opportuno che fossero resi pubblici in anticipo i criteri di valutazione, almeno per garantire non solo la trasparenza, ma per poter dare a molte più persone  la possibilità di parteciparvi. Per fortuna, come tutti ben sappiamo anche dalla lettura dei giornali, il nostro sistema pubblico, soprattutto quando è impegnato nella selezione del personale da assumere, è del tutto immune da rischi di contaminazioni e favoritismi. Da noi, a differenza di altri Paesi come quelli del Nord Europa, non si approfitta mai di queste occasioni per ottenere un vero e proprio spoil system…
Di sicuro vorremmo che questa importante novità si traducesse in un’occasione vera per la scuola italiana e sarebbe auspicabile che gli ispettori andassero veramente a visitare le scuole. Abbiamo invece il timore che, come talvolta è accaduto in passato, queste figure vadano a rimpiazzare in altri ruoli chi è andato in pensione e, per evitare contenziosi, ne vengano invece centellinate le ispezioni nei confronti di docenti e dirigenti.
Vorremmo infine che non approfittassero del loro ruolo, come talvolta accaduto, per ricerche e pubblicazioni spesso utili solo a chi le ha fatte, magari usando i soldi pubblici. Si approfitti invece di queste figure per migliorare la qualità del personale scolastico. In altre parole, i nuovi ispettori, ancor prima di tenere corsi di aggiornamento o partecipare a tavole rotonde, dovrebbero saper estromettere dall’insegnamento gli incapaci e i neghittosi, che ci sono e che fanno danni come la grandine anche quando non capitano ai nostri figli!
PS: Tengo a precisare che non ho partecipato al concorso né vi parteciperò in futuro, sia per motivi anagrafici, sia perché non ho – e lo dico senza falsa modestia – le competenze necessarie a ricoprire questo ruolo. 
Valerio Vagnoli

mercoledì 20 aprile 2016

I PROBLEMI TRA SCUOLA E FAMIGLIA NON SI RISOLVONO SUI GIORNALI

I recenti fatti di cronaca, che hanno visto un ragazzo e una ragazza autistici esclusi da una gita in due diverse  scuole, hanno avuto una larga eco mediatica. Per entrare nel merito di questi episodi sarebbe necessario saperne di più, ma le cronache sono spesso lacunose. Quando si tratta di fare i conti con le problematiche legate ai ragazzi disabili occorre essere sempre prudenti, anche se mai ipocriti. E purtroppo c’è spesso fretta di dare dei giudizi e di individuare i buoni e i cattivi. Come dice in un’intervista a “La Repubblica” una docente di sostegno, “non esiste un autistico uguale all’altro. C’è chi riesce a relazionarsi, chi non parla, molti hanno bisogni di farmaci, c’è chi riesce a venire in gita, chi ha genitori che non se la sentono conoscendo la gravità della situazione e chi invece viene per dormire con i figli”. Dunque, in mancanza di informazioni più complete, non possiamo parlare subito di discriminazione o di scarsa disponibilità da parte dei compagni, se non se la sentono di condividere una camera a due letti con un allievo autistico. E per evitare confusi processi mediatici, che possono rendere insanabili i conflitti a tutto danno dei ragazzi, bisognerebbe che gli uffici scolastici provinciali e regionali predisponessero un pronto intervento di mediazione in caso di problemi tra scuola e famiglia e invitassero i genitori a  rivolgersi a loro invece che ai giornali.
Detto questo, bisogna aggiungere che la situazione dell’integrazione in Italia non è tutta rose e fiori. Come molti sanno, il nostro Paese è stato il primo al mondo ad aver fatto la giustissima scelta di inserire nelle scuole i ragazzi disabili. Tutto è avvenuto, però, demandando alle scuole il compito di arrangiarsi rispetto alle difficoltà innegabili che una scelta del genere avrebbe comportato. Purtroppo la situazione nei decenni è cambiata di poco: ancora oggi la stragrande maggioranza degli edifici scolastici non ha gli spazi idonei a una didattica personalizzata o per piccoli gruppi, né è dotata di laboratori adeguati, primi fra tutti quelli per i ragazzi autistici che, in molti casi, hanno necessità di spazi silenziosi, essendo molto sensibili ai rumori. Ma ancora più grave è la situazione dei docenti di sostegno, una parte dei quali non è dotata dei titoli di specializzazione. Capita sempre più spesso che dei ragazzi difficilissimi, sia sul piano caratteriale che su quello motorio, siano affidati a supplenti alle loro prime esperienze. Capita anche che il contributo dei neuropsichiatri non risulti adeguato, sia perché non sempre sono abbastanza competenti in materia, sia perché sono troppo pochi rispetto alle necessità. Infine un discorso a parte lo si deve fare per i ragazzi disabili che frequentano le superiori. Quasi sempre vengono indirizzati negli istituti professionali, anche quando potrebbero seguire altri indirizzi. Riunirli in gran numero nelle medesime scuole comporta il rischio che certi istituti ritornino a essere “speciali”, una sorta di ghetto istituzionalizzato. Per risolvere i problemi non è sufficiente la “disponibilità ad accogliere”, come alcuni pensano (“l’amore non basta”, direbbe Bettelheim). C’è bisogno di competenze, spazi, mezzi idonei. Insomma, più concretezza e meno retorica. 
Valerio Vagnoli, Giorgio Ragazzini

venerdì 8 aprile 2016

IL LICEO VIRGILIO E L'EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ

Sul Corriere della sera del 6 aprile viene pubblicata una bella intervista alla collega Irene Baldriga del Liceo Virgilio di Roma.  A dicembre, con il sostegno di molti genitori, gli studenti del Virgilio occuparono per oltre due settimane la scuola. Coraggiosamente la collega denunciò gli occupanti,  che per questo  la attaccarono con una violenza verbale inaudita. Una violenza che si sta ripetendo in questi giorni per un fatto di cronaca che riguarda ancora il Virgilio. Agli occhi di molti studenti e anche di molti loro genitori, la preside si sarebbe macchiata di una sorta di "culpa in  educando" consistente nell' aver aperto la scuola ai carabinieri, perché arrestassero uno studente spacciatore di droga, colto peraltro in flagrante. Dopo l'arresto, moltissimi studenti del Virgilio hanno assediato la presidenza offendendo e minacciando la collega (una robaccia del genere era avvenuta pochi mesi fa anche a Firenze in occasione della lunghissima occupazione di un altro liceo) e dopo l'assedio hanno improvvisato un corteo fino alla questura. Secondo loro, e naturalmente secondo quei loro genitori che li difendono, la scuola deve godere di una sorta di diritto di extraterritorialità e per i ragazzi sarebbe un inutile trauma farli assistere all'arresto di un loro compagno, peraltro di 19 anni. Naturalmente un simile modo di "non pensare" trova ampia diffusione in  una parte dell’opinione pubblica, convinta che libertà significhi diritto di fare quel che ci pare e non dover rendere conto a nessuno delle nostre azioni. Bene fa la preside a ricordare che, se c'è un posto in cui i ragazzi si devono assumere le conseguenze delle loro (cattive) azioni, questo è proprio la scuola: la prima istituzione pubblica entro la quale i giovani entrano a contatto e che è destinata, se ben funzionante, a trasmettere loro il rispetto delle regole, delle leggi e  della Costituzione; e non solo a parole, ma soprattutto facendole concretamente rispettare. Non farlo significa ritrovarseli adulti immaturi e arroganti come i genitori che aggressivamente li difendono, eterni giovani Holden più giovanilistici dei loro stessi figli, a volte in dispregio di una categoria, quella dei docenti e magari dei dirigenti, visti come socialmente irrilevanti in quanto notoriamente sottopagati. Quello che ancora continua a indignarci (a differenza di quei genitori non ci rassegniamo, come la collega Baldriga, all'idea che la nostra Costituzione possa essere eternamente calpestata) è che i vertici del Miur non abbiano sentito il dovere d'intervenire con fermezza nella difesa della Preside, che è poi la difesa dei valori democratici e dello Stato di diritto. (VV) 

Da segnalare, fra i vari articoli che anche oggi si riferiscono ai fatti del Virgilio, il bell’intervento di Adolfo Scotto di Luzio sul “Corriere della Sera”: Se non si rispetta l’autorità, la scuola non può educare. Leggi.

martedì 5 aprile 2016

LA PROPOSTA DI TREELLLE SULL’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA E L’IPOTESI DI ABOLIZIONE DEL VOTO DI CONDOTTA (Lettera aperta a “Tuttoscuola”)

Gentile dottor Vinciguerra,
gli ultimi due numeri di “TuttoscuolaFOCUS” trattano ampiamente di una proposta dell’Associazione TreeLLLe, che vorrebbe sperimentare in cento istituti superiori due ore settimanali di una nuova forma di educazione alla cittadinanza, basata non su lezioni teoriche, ma su “attività con contenuti interdisciplinari e modalità didattiche interattive. Esempi: giochi di ruolo, discussioni su spunti di cronaca, attività di volontariato, elaborazione di filmati, dossier, etc.”.
Nei paragrafi dedicati al problema c’è un importante riferimento ai sistemi educativi orientali, che danno  grande peso al comportamento, all’impegno, al rispetto dell’autorità, valori “che vengono addirittura prima delle conoscenze e competenze, a differenza di quanto accade nel mondo occidentale”. E hanno ragione loro, perché si tratta dell’indispensabile cornice in cui l’apprendimento raggiunge al meglio i suoi obbiettivi. Ma anche chi visita le scuole in molti paesi del nord Europa ha ottime possibilità di trovare un clima così tranquillo e operoso da sbalordire il visitatore italiano.
È semplicemente impensabile raggiungere mete analoghe a quelle indicate solo con la reintroduzione dell’educazione civica, sia pure nelle forme della didattica attiva (che personalmente ho spesso adottato da insegnante della materia alle medie, con indagini sul campo, raccolta di dati, discussioni guidate). L’educazione “alla cittadinanza” la si costruisce prima di tutto con l’educazione propriamente detta, quella che in prima battuta compete alle famiglie, purtroppo disorientate da teorie pedagogiche permissive che hanno fatto più danni della grandine. Si tratta di un costante allenamento al principio di realtà, che gradatamente fa acquisire le “competenze sociali e civiche” e che dovrebbe consegnare alla scuola dell’infanzia bambini già sostanzialmente educati, cosa che purtroppo raramente succede. Quanto poi alla scuola italiana e a chi la dovrebbe indirizzare, sono decenni che, in perfetta sintonia con quanto accade nella società, è in corso una vera e propria delegittimazione – anche a livello lessicale – della serietà, del rigore, del rispetto delle regole in nome di un “dialogo”, che spesso non è altro che abdicazione al proprio ruolo. E soprattutto vi perdura l’ostracismo per le sanzioni, di cui si nega in radice il valore educativo. Di conseguenza in molte scuole si può fare quasi tutto – dal disturbo continuo alla lezione agli insulti agli insegnanti, dalle occupazioni all’imbroglio nelle verifiche e agli esami – senza incorrere in un adeguato provvedimento disciplinare. E questo perché ancora si associa qualsiasi sanzione all’autoritarismo, mentre si tratta di garantire a tutti i ragazzi, compresi quelli che per tanti motivi hanno più difficoltà a comportarsi bene, la percezione del confine tra ciò che si può e ciò che non si può fare. È in questo senso che Massimo Recalcati parla di un “diritto a essere puniti”.
La conferma che quello “buonista” è ancora l’orientamento culturale prevalente nella riflessione sulla scuola viene proprio dal contributo che “Tuttoscuola” ritiene di offrire al dibattito aperto da TreeLLLe: “Offriamo una ipotesi alla discussione: la sostituzione del reperto storico del ‘voto di condotta’ con la valutazione collegiale (anche non numerica) del livello di global citizenship [!] progressivamente raggiunto dallo studente”. È davvero paradossale: in un testo tutto teso al recupero della “dimensione dei valori (norme morali, comportamento sociale, riconoscimento e rispetto dei ruoli ecc.)” il “reperto storico” che si vuole abolire (ma l’estensore si è trattenuto, stava per dire “archeologico”) è il più importante passo avanti degli ultimi anni (e quasi l’unico) verso una scuola più esigente nel rispetto delle regole. E si tratta, guarda caso, di una sanzione, perché con il cinque in condotta alla fine dell’anno non si può essere ammessi alla classe successiva. Un esito estremo, che però costituisce un deterrente proporzionato alla gravità di comportamenti effettivamente registrati anche di recente, come le occupazioni di scuole a lungo sequestrate da un’infima minoranza di studenti, con gravi danni erariali e al diritto allo studio. Non ci può essere scuola seria, né una società giusta senza la possibilità di punire chi viola gravemente o ripetutamente le regole della civile convivenza. Come lapidariamente scrive Leonardo da Vinci, “Chi non punisce il male, comanda che si faccia”.
Cordiali saluti,
Giorgio Ragazzini 
Per il Gruppo di Firenze