giovedì 30 giugno 2016

PREMI AGLI INSEGNANTI? PRIMA BISOGNEREBBE COLPIRE IL DEMERITO

(“Corriere Fiorentino", 30 giugno 2016)

Cresce il numero dei Collegi dei docenti che rifiutano il bonus destinato a premiare i migliori di loro e che chiedono di destinarlo a migliorare i sussidi didattici. Pur attenendomi alla legge, evitando di destinarlo a scopi da essa non previsti, mi trovo d’accordo con il Comitato di valutazione della mia scuola. Il comitato chiede di destinarlo non a pochi ma a un buon numero di docenti che hanno lavorato bene e con impegno, contribuendo a migliorare la qualità della didattica. Tuttavia, insieme al dovere di rispettare la normativa, mi preoccupo da tempo di sollecitare un’ inversione di rotta a proposito di una misura che mi appare come uno sperpero di denaro pubblico destinato, al di là delle intenzioni, a peggiorare la condizione della scuola e dei suoi docenti anziché migliorarla.
Credo infatti che sia sbagliato e improduttivo cercare d’individuare i migliori docenti secondo parametri decisamente inadeguati quali quelli previsti dalla L. 107, dato il rischio di demotivare quegli insegnanti che pur lavorando con passione e competenza ne rimangono esclusi. Non dimentichiamo inoltre che la cifra lorda a disposizione delle scuole è veramente un'elemosina, anche qualora il bonus si decida di darlo a una ristretta minoranza. Non è questa la strada per far fare un salto di qualità alla scuola italiana. Né lo farebbe la sanità se si affidasse a un dirigente coadiuvato da un comitato, in genere sindacalizzato, il compito di differenziare nelle corsie ospedaliere i medici bravi da quelli meno bravi. Quello che occorre nelle scuole e nel pubblico impiego è colpire invece in tempi rapidi il demerito che è, al contrario del merito, molto più facile da individuare. Un docente inadeguato di sicuro fa dei danni enormi, spesso definitivi, nella formazione dei ragazzi. Purtroppo, anche se minoranza, docenti del genere esistono e attualmente si può fare molto poco per cacciarli definitivamente dal loro ruolo, perché sono tutelati da normative ipergarantiste, da generose sentenze di giudici del lavoro e anche da dirigenti scolastici impreparati o neghittosi o convinti che attraverso “il dialogo” si possa tutto, anche far diventare bravi docenti persone prive di preparazione adeguata, di carattere adatto ad insegnare o di volontà a farlo. Ma se premiare i migliori non migliora la scuola, esiste invece la necessità di individuare i docenti in grado di farsi carico di altri ruoli e di altre funzioni rispetto all’insegnamento. Figure destinate a coadiuvare a tempo pieno i dirigenti, a coordinare i dipartimenti (tra cui uno dedicato al sostegno), a occuparsi di alternanza scuola-lavoro, di orientamento, di aggiornamento, oppure della formazione dei futuri docenti anche con distacchi presso l’università. Docenti a cui dovrebbe essere legittimato uno stipendio naturalmente diversificato.
Questo permetterebbe di andare verso una vera e propria carriera degli insegnanti che, utilizzando competenze organizzative e progettuali presenti nelle scuole, possa finalmente valorizzare al massimo ogni comunità scolastica. Per ora, pur interpretandola, applichiamo la legge. Questa è la democrazia e questo si deve insegnare ai ragazzi.

Valerio Vagnoli 

lunedì 27 giugno 2016

VALUTAZIONE NELLA PRIMARIA, CI RISIAMO: LETTERE “BUONE”, NUMERI “CATTIVI”. E ARRIVA IL DIVIETO DI BOCCIARE

Il Corriere della Sera di ieri riporta le stupefacenti motivazioni alla base della nuova-vecchissima idea di sostituire nella scuola primaria i voti numeri con le lettere. Queste ultime sarebbero “eque e meno limitanti” (?). L’obbiettivo è quello di uscire dalla logica della scuola-calcolatrice, limitare le ansie e recuperare l’idea che il successo scolastico è un percorso e non una media delle performance. “Così restituiamo alla scuola primaria il compito di mettere bambine e bambini agli stessi nastri di partenza – spiega la senatrice Francesca Puglisi. Misurare con un numero la gioia di apprendere di un bambino è come misurare il cielo con un righello” [sic…]. E ancora, a detta degli “esperti” che seguono il progetto, “la valutazione in lettere esprime il concetto di evoluzione delle competenze e delle conoscenze, mentre il voto fotografa in maniera statica una situazione”. E qual è l’idea chiave? Fornire agli studenti gli strumenti per raggiungere una meta. In parole povere: impediamo agli insegnanti di comportarsi da ragionieri e tutto cambierà in meglio, la scuola non sarà più ansiogena e potremo apprezzare finalmente gli sforzi degli studenti per migliorarsi, invece di inchiodarli a un eventuale inizio d’anno “complicato”.
Simile a un torrente carsico, come si vede riemerge periodicamente la sfiducia, per non dire l’ostilità, verso l’insegnante medio che alberga nelle teste ministeriali, o meglio verso quelli che non si rassegnano al ruolo di maternage protettivo e indulgente che si vorrebbe riservargli; e che insistono invece nel credere che il bene dei bambini stia in una scuola esigente non meno che affettuosa. Al di là dei riflessi insieme ideologici e psicologici di cui sono espressione, le motivazioni addotte sono semplicemente inconsistenti (quando si riesce a tradurle in italiano comprensibile), oltre che offensive per i docenti italiani. Tanto per cominciare, non è affatto vero che questi ultimi non tengono conto dell’evoluzione di un allievo e non valorizzano il suo impegno nel corso dell’anno. Spesso lo fanno anche troppo, utilizzando qualche risultato positivo verso la fine della scuola per cancellare un andamento insoddisfacente nella maggior parte dell’anno. D’altro canto proprio per equità è necessario distinguere – diciamocelo chiaramente – tra chi ha dimostrato buona volontà e ha lavorato costantemente per migliorare e chi invece ha poltrito per un quadrimestre contando di cavarsela con uno sprint finale. Non a caso tra le nostre proposte c’è anche quella di aggiungere alle valutazioni quadrimestrali anche una valutazione complessiva, che riguardi tutto l’anno scolastico. Sarebbe questo un forte incentivo a impegnarsi fin dall’inizio dell’anno.
Impossibile poi capire perché il voto “fotografi in maniera statica”, mentre le lettere, miracolosamente, no. Si manifesta qui anche una ben scarsa conoscenza della scuola nella sua concreta attività e di quella primaria in particolare. Il voto è un segnale sintetico che si accompagna, nella maggioranza dei casi, a un’analisi degli errori, a indicazioni per migliorare, alla consapevolezza del perché il risultato è negativo: scarso impegno? difficoltà dell’argomento? necessità di una nuova spiegazione? Chi lo appioppa e basta, farà lo stesso con la lettera E. Quanto a fare la media, basta attribuire un valore numerico a ogni lettera e il gioco è fatto. Con lo svantaggio, però, di avere uno strumento valutativo articolato in soli cinque livelli, quindi meno in grado di rilevare anche modesti miglioramenti.
Arriviamo all’abolizione della bocciatura nelle elementari annunciata insieme alla “riforma” della valutazione. La cosa è liquidata in quattro righe dell’articolo: “Inutile e dannosa” sentenziano gli “esperti” del ministero. Già non si comprende perché i rarissimi casi in cui questo avviene siano un problema. Ma il punto fondamentale è un altro: non è tanto l’utilità della ripetenza che è in questione, anche se, checché se ne dica, non è affatto vero che sia sempre inutile. Quella che funziona come incentivo a far meglio e quindi va difesa nell’interesse degli allievi è la semplice possibilità di bocciare. Inutile nascondersi dietro fantasie onnipotenti sui poteri di una didattica per quanto innovativa e attraente, ci saranno sempre casi in cui c’è bisogno di evocare un limite invalicabile al disimpegno e alla pigrizia.
Infine: chi l’ha detto – chiedetelo agli sportivi – che un po’ di ansia fa male? E perché allora non abolire i saggi di strumento, di danza, la prima comunione, la recita, in quanto suscitatori di ansia?

Giorgio Ragazzini

domenica 26 giugno 2016

FIRMA CONTRO LA "LIBERALIZZAZIONE" DEL CELLULARE IN CLASSE

Gentile Ministro,
nei giorni scorsi il sottosegretario Faraone ha annunciato che sarà abolito il divieto di usare il cellulare il classe, una misura del ministro Fioroni, che giustamente si preoccupava di evitare motivi di distrazione e di disturbo. Un divieto che oggi è più che mai attuale data la diffusione tra i ragazzi degli smartphone, tanto più attraenti dei cellulari di allora. Tutti abbiamo avuto modo di constatare quanto essi possano monopolizzare la loro attenzione; e non c’è alcuna seria motivazione didattica o educativa per un cambio di rotta che costituirebbe un forte incentivo alla distrazione e all’uso improprio di questi strumenti (copiare, giocare, praticare il bullismo via internet, schernire un docente). D’altra parte, per l’uso didattico dell’informatica, è bene usare strumenti assai più indicati come i tablet e le Lim.
Riteniamo quindi indispensabile che il vigente divieto venga mantenuto (e rispettato) nell’interesse degli stessi studenti e del lavoro degli insegnanti.

PER FIRMARE CLICCA  QUI.

Tra le adesioni fin qui pervenute segnaliamo: Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti; Paola Mastrocola, insegnante e scrittrice; Luca Serianni, docente di storia della lingua italiana; Giovanni Belardelli, storico e editorialista del "Corriere della Sera"; Adolfo Scotto di Luzio, docente di storia della pedagogia; Giulio Ferroni, docente di letteratura italiana; Vittorio Emanuele Parsi, docente di storia delle relazioni internazionali; Adriano Prosperi, docente di storia moderna e collaboratore di "Repubblica"; Michele Zappella, docente di neuropsichiatria infantile; Roberto Tripodi, presidentedell'Associazione delle Scuole Autonome Siciliane (Asasi).

lunedì 13 giugno 2016

FIRMA LA PETIZIONE AL MINISTRO GIANNINI: "NO AL CELLULARE IN CLASSE"

Gentile Ministro,
nei giorni scorsi il sottosegretario Faraone ha annunciato che sarà abolito il divieto di usare il cellulare il classe, una misura del ministro Fioroni, che giustamente si preoccupava di evitare motivi di distrazione e di disturbo. Un divieto che oggi è più che mai attuale data la diffusione tra i ragazzi degli smartphone, tanto più attraenti dei cellulari di allora. Tutti abbiamo avuto modo di constatare quanto essi possano monopolizzare la loro attenzione; e non c’è alcuna seria motivazione didattica o educativa per un cambio di rotta che costituirebbe un forte incentivo alla distrazione e all’uso improprio di questi strumenti (copiare, giocare, praticare il bullismo via internet, schernire un docente). D’altra parte, per l’uso didattico dell’informatica, è bene usare strumenti assai più indicati come i tablet e le Lim.
Riteniamo quindi indispensabile che il vigente divieto venga mantenuto (e rispettato) nell’interesse degli stessi studenti e del lavoro degli insegnanti.

PER FIRMARE CLICCA  QUI.

Tra le adesioni fin qui pervenute segnaliamo: Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti; Paola Mastrocola, insegnante e scrittrice; Luca Serianni, docente di storia della lingua italiana; Giovanni Belardelli, storico e editorialista del "Corriere della Sera"; Adolfo Scotto di Luzio, docente di storia della pedagogia; Giulio Ferroni, docente di letteratura italiana; Vittorio Emanuele Parsi, docente di storia delle relazioni internazionali; Adriano Prosperi, docente di storia moderna e collaboratore di "Repubblica"; Michele Zappella, docente di neuropsichiatria infantile; Roberto Tripodi, presidentedell'Associazione delle Scuole Autonome Siciliane (Asasi).

lunedì 6 giugno 2016

ABROGATO DA FARAONE IL DIVIETO DI CELLULARE IN CLASSE. COSÌ SI INCENTIVANO LA DISTRAZIONE DI MASSA E IL BULLISMO VIA INTERNET

Davide Faraone
Non contento di essersi schierato dalla parte degli okkupanti, Faraone ha deciso che il divieto di usare il cellulare in classe, introdotto dal ministro Fioroni nel 2007, è "luddismo". Meglio insegnare ai ragazzi un loro "uso consapevole", magari per copiare a man bassa durante gli esami di Stato, giocherellare durante le lezioni o, perché no, perseguitare qualche compagno di classe. Siamo sempre lì: invece di far rispettare le regole, le si abroga di fatto o di diritto. Una volta ha avuto la sua importanza un passato di studente ribelle che si formava politicamente nel sacco a pelo; oggi, a quanto pare, la figlia autistica che comunica bene con whatsapp. Il che va benissimo, ma se davvero  fosse utile anche in classe in un caso particolare, basterebbe fare un'eccezione, invece di buttare a mare la norma
Vediamo se qualcuno nel governo o nella maggioranza avrà qualcosa da ridire...  (GR)

giovedì 2 giugno 2016

UNA REVISIONE NECESSARIA E URGENTE DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI: diminuire le materie teoriche e aumentare in modo consistente le ore di laboratorio

Ai primi di maggio si è tenuto a Firenze, presso l'Istituto Salvemini-D'Aosta, un incontro tra dirigenti scolastici degli istituti professionali toscani e l'assessore regionale all'istruzione e alla formazione professionale Cristina Grieco. Quest'ultima ha presentato le novità riguardanti i corsi triennali di istruzione e formazione professionale (IeFP cosiddetti "complementari"). Probabilmente la più importante è la possibilità di iscrizione per i quattordicenni, che non dovranno quindi più aspettare di compiere i sedici anni, cioè il compimento dell'obbligo scolastico. Sono inoltre inclusi nelle possibili scelte anche i corsi professionalizzanti organizzati dai comuni e dalle agenzie formative. Da notare che l'assessore Grieco aveva firmato nel 2011, da preside dell'Istituto Vespucci di Livorno, l'appello di 85 dirigenti scolastici promosso dal Gruppo di Firenze in cui si chiedeva alla Regione Toscana, di avviare, "all'interno di un consistente numero di istituti professionali, la sperimentazione di percorsi triennali di formazione professionale a cui si possa accedere direttamente dopo l'esame di terza media".
Durante la riunione si è anche discusso della attuale situazione degli istituti professionali, con la loro alta percentuale di insuccessi e abbandoni scolastici; e molti dei presenti hanno condiviso una lettera al Ministro Giannini sull'urgente necessità di rivederne l'inadeguato e pletorico quadro orario, dando molto più spazio alle attività di laboratorio. Leggi la lettera al Ministro.