lunedì 24 ottobre 2016

NO ALLA SCUOLA FACILE CONTRO IL MERITO E LA RESPONSABILITÀ

Scriviamo al Presidente del Consiglio e al Ministro Giannini per fermare il decreto sulla valutazione
Vedrà tra non molto la luce il decreto legislativo sulla valutazione, i cui  punti essenziali sono stati anticipati di recente. In poche parole avanti tutta col principio base della pedagogia ministeriale:  rendere tutto più facile, evitare agli alunni verifiche serie e eliminare ogni timore che l’assenza di impegno comporti conseguenze negative.  In sintesi:
- Abolizione del voto numerico nel primo ciclo e ritorno alla gloriose letterine A, B, C, D, E, facendo però in modo, come riferisce “Il Sole 24 Ore, di “scongiurare la traduzione automatica delle lettere in numeri (si annunciano nuove griglie e criteri di valutazione). Ovviamente  saranno gli alunni stessi a chiedere ai docenti: “B vuol dire 8?”. Lo scopo: “Evitare di limitare l’azione valutativa alla mera registrazione del successo o dell’insuccesso. L’idea è quella di lavorare insieme [?] ad una valutazione ‘per l’apprendimento’ e non ‘dell’apprendimento’ ”. Si fa passare l’idea che gli insegnanti del primo ciclo siano finora stati semplici notai dei risultati ottenuti, senza nessuna preoccupazione o strategia per motivare gli allievi e farne emergere le potenzialità. Inoltre la valutazione “per l’apprendimento” (o formativa) si può fare benissimo anche con i voti, mentre quella “dell’apprendimento” (o sommativa) è doppiamente necessaria: serve per dare un’informazione sintetica e non camuffata all’allievo e per certificarne gli apprendimenti, come impone il valore legale del titolo di studio.
- Abolizione delle bocciature nella scuola primaria. Si è trattato finora di casi talmente rari, che si stenta a trovare dei dati in proposito. In Emilia siamo intorno al 2 per mille. Al Ministero sono proprio  sicuri che in questi pochissimi casi non sia stata la decisione migliore per i bambini, del resto in genere condivisa con i genitori? E non suggerisce il buon senso che anche la remota possibilità di non essere ammessi può aiutare gli alunni pigri o scarsamente motivati a impegnarsi di più? Nella scuola media, invece, le bocciature saranno consentite solo in casi eccezionali. Ma eccezionali già lo sono; e certo non decise alla leggera.
- Semplificazione (leggi “facilitazione”) degli esami di Stato. Negli ultimi anni  si è spesso menato scandalo per le cinque prove scritte dell’esame di terza media. Troppo faticose per i poveri preadolescenti (notoriamente a corto di energie). E dunque si faranno due soli scritti, di cui uno “in ambito linguistico” che potrà includere una parte in lingua straniera (sic!), la seconda di tipo logico-matematico. Il colloquio “dovrà uscire dai semplici canoni nozionistici e disciplinari” (ce lo sentiamo ripetere da almeno quarant’anni) e dovrà accertare il possesso anche “delle indispensabili competenze trasversali”. Ciliegina: via il presidente esterno delle commissioni, così si fa tutto in famiglia. E, con lodevole coerenza, negli esami ex di maturità tornerebbero le commissioni tutte interne, e sarà eliminata la terza prova.
C’è infine da scommettere che il voto di condotta non uscirà indenne dal “riformismo” di  Stefania Giannini e del lodatore delle occupazioni Faraone. Altrimenti non ci sarebbe bisogno di parlarne. Un cambiamento avvolto nell’opaca antilingua ministeriale: “Il comportamento sarà valutato sulla base di indicatori relativi allo sviluppo delle competenze personali, sociali e di cittadinanza". Rimarrà la possibilità di ripetere l'anno con il 5 in condotta per gravi o ripetuti comportamenti scorretti?
Di fronte alla crescente egemonia del facilismo quale via alla scuola “inclusiva”, che è in realtà escludente dei ragazzi socialmente svantaggiati, dobbiamo ancora una volta tentare qualcosa. Nei giorni scorsi ci siamo rivolti al presidente Renzi e al ministro Giannini. Ma difficilmente basterà. Proponiamo quindi a tutti coloro che ritengono necessaria una scuola più qualificata, cioè anche più esigente, di inviare brevi (civili) messaggi al Presidente Renzi, alla Ministra Giannini e al sottosegretario Faraone. Con preghiera di mandare anche a noi il vostro messaggio aggiungendo il nostro indirizzo in copia nascosta (sigla "ccn" a sinistra dello spazio in basso per gli indirizzi). Ciascuno lo scriva come meglio crede: può essere un sintetico “Sono contrario all’annunciato decreto sulla valutazione” oppure una presa di posizione più argomentata. Ma la pluriennale deriva deresponsabilizzante è troppo grave per non avvertire l’esigenza di far sentire la propria voce. Scrivendo e facendo circolare il più possibile questa proposta. Seguiamo la massima kantiana “Fai quello che devi, accada quel che può”.  
INDIRIZZI DI POSTA: 

venerdì 21 ottobre 2016

DOPO LA LETTERA A RENZI SU VOTI, ESAMI E RIPETENZE. CONFRONTO DI OPINIONI SUL "CORRIERE FIORENTINO"

Fa discutere la lettera aperta di alcuni prof a Renzi, pubblicata ieri dal "Corriere Fiorentino", sul merito a rischio col decreto che riduce le bocciature. Le ragioni di favorevoli e contrari.


EDITORIALE: SE OBAMA FA SCUOLA

di Gaspare Polizzi

Ieri alcuni rappresentanti del «Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità» hanno inviato da questo giornale un appello a Renzi in vista dell’emanazione del decreto legislativo sulla valutazione scolastica. Il decreto sembrerebbe abbassare i requisiti di impegno richiesti agli studenti. Se ne dovrebbe discutere nel merito. Vorrei qui sottolineare un punto della lettera che ritengo centrale. Il richiamo al «contributo di responsabilità e impegno degli allievi», che riecheggia una nota frase di Obama: «Possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità». Gli studenti, i giovani, non sono tutti uguali. All’Alberghiero Saffi un’attenta platea di studenti maggiorenni ha ascoltato Paolo Caretti e Carlo Fusaro, noti costituzionalisti, spiegare le ragioni del «No» e del «Sì». «Abbiamo capito che bisogna leggere un po’ più cose per essere in grado di dare questo voto». Una bella lezione di educazione civica. Un esempio da diffondere, che dimostra come si possa discutere con attenzione del referendum costituzionale, senza insultarsi a vicenda. Al Machiavelli Capponi e al Galileo gruppi minoritari di studenti hanno messo in scena la solita vecchia farsa delle occupazioni, senza rispettare il costituzionale diritto allo studio e il democratico volere della maggioranza, e infrangendo senza remore la legalità. Gli occupanti hanno attirato per qualche giorno l’attenzione dei media e hanno ricevuto dichiarazioni di disponibilità di alcuni amministratori e politici. A «Leggere per non dimenticare» Anna Benedetti ha presentato un saggio di Filippo La Porta, Indaffarati, che si distingue dal ben noto Sdraiati di Michele Serra, perché coglie il chiaroscuro nelle nuove generazioni. Giovani da un lato abulici, «sdraiati», disinteressati a ogni impegno culturale. Dall’altro pieni di passione per le cause che li coinvolgono, per il volontariato, per cooperare e condividere le proprie esperienze di vita, e sempre «indaffarati» in tante attività.

«LASCIATE I VOTI E LE BOCCIATURE» FA DISCUTERE L’APPELLO A RENZI

     di Lisa Baracchi

Voti e bocciature, è il caso di abolirli? Tra gli insegnanti e i presidi c’è chi fa una distinzione forte tra la primaria e le altre scuole, c’è chi li concepisce solo vincolati a precisi criteri condivisi. Ma un concetto esce da ogni riflessione: voti e bocciature non possono essere considerati punizioni, solo strumenti di formazione. Dopo la lettera indirizzata al premier Renzi, pubblicata ieri su Corriere Fiorentino, scritta dal «Gruppo di Firenze per la scuola del merito e delle responsabilità», il dibattito è aperto, in vista del decreto legislativo sulla valutazione. «Dobbiamo purtroppo constatare che anche questo provvedimento è ispirato al principio base della pedagogia ministeriale degli ultimi decenni: facilitare sempre di più il percorso scolastico, minimizzare o ridurre a un pro forma i momenti di verifica», scrivono il dirigente dell’alberghiero Saffi Valerio Vagnoli e altri docenti fiorentini.
La pensa come loro Gianni Camici, presidente provinciale dell’Associazione nazionale presidi: «Non mi sembra ragionevole togliere le bocciature, che alla scuola primaria, ma anche secondaria di primo grado sono solo una possibilità residuale. Il voto lo considero un fattore di chiarezza, certo deve essere dato secondo criteri spiegati e condivisi».
Viene invece considerato troppo sintetico e riduttivo il voto numerico alle scuole primarie all’istituto Ghiberti, come spiega la preside Annalisa Savino e la stessa riflessione la fa Lucia Bacci dell’istituto comprensivo Compagni Carducci: «Alla scuola primaria il voto non è formativo, i risultati negativi possono generare sfiducia, nuocere all’autostima. Diverso è il discorso alla medie dove gli studenti hanno un’età tale da comprendere che il voto serve a evidenziare i punti critici, che va inteso come auto consapevolezza sul metodo di studio, in vista delle superiori».
E se il voto numerico non fosse che una «tradizione» comprensibile a tutti? Alessandro Bussotti preside dell’istituto comprensivo Poliziano aggiunge: «È soprattutto il frutto di un lavoro sui criteri condivisi dai docenti di quella materia e dai docenti dell’istituto, deve essere chiaro cosa significa avere un 6 o un 8». Riflette sulla possibilità di includere in una valutazione anche il progresso fatto il preside del Marco Polo, Ludovico Arte: «L’essere arrivato da un 4 a un 6 ha un significato diverso dell’essere rimasti a 6 anche se il voto sarà lo stesso», dice il dirigente che si trova d’accordo con una abolizione anche più estesa delle bocciature: «Alla fine del percorso lo studente potrebbe avere un certificato che indichi solo quali competenze ha raggiunto».
Interviene nel dibattito aperto dal «Gruppo di Firenze» anche il sottosegretario all’istruzione Gabriele Toccafondi contrario alla logica del sei politico come anche all’abolizione per legge delle bocciature. «Lettere o numeri, non fa molta differenza, quello che conta è la “sensibilità” del contesto scolastico e il buon senso degli insegnanti, ma un appello al buon senso deve essere indirizzato anche ai genitori: non si può essere sempre sindacalisti e avvocati in difesa dei nostri figli. Renzi ha ragione quando richiama al rispetto per il ruolo degli insegnanti».
A difendere il decreto legislativo a cui si riferisce il «Gruppo di Firenze» è la senatrice Francesca Puglisi, responsabile della commissione scuola del Pd: «Non si intende ridurre a un “proforma” i momenti di verifica scolastica. Anzi, crediamo che la valutazione debba essere un momento di formazione di ciascuno studente». Ma la valutazione «deve attestare i livelli di conoscenza raggiunti senza limitarsi a “registrare” i successi o gli insuccessi». Puglisi attribuisce la perdita del rispetto sociale per gli insegnanti anche ai messaggi sbagliati dati in passato «in pasto» all’opinione pubblica. «Ricordate? “Con la cultura non si mangia”, “Signorina, sposi un uomo ricco e sarà felice”, gli “insegnanti fannulloni” — continua Puglisi. Matteo Renzi, nel recente viaggio a Washington, ha voluto portare con sé le eccellenze italiane per dimostrare ai nostri ragazzi che con l’impegno rigoroso e la fatica nulla è impossibile». Infine l’invito: «Il decreto legislativo non è ancora chiuso — dice la senatrice — aspettiamo anche la proposta del “Gruppo di Firenze” per migliorarlo».

«HO RIPETUTO L’ANNO, ME LO MERITAVO E MI RIMISI IN RIGA»

di Giulio Gori

«Sono stato bocciato in terza liceo. Ma anche se sul momento pensai che era stata colpa dei professori brutti e cattivi, ovviamente me lo ero meritato». Il giornalista fiorentino Nicola Remisceg sorride al ricordo di quella bocciatura, cui andò incontro quando studiava al liceo scientifico Gramsci, in via del Mezzetta. E oggi, a distanza di molti anni, con due figli al liceo, l’autore e videomaker del programma televisivo Le Iene ripensa a quell’episodio e ammette che una parte del suo successo è nata proprio da lì. Fu una bocciatura giusta?
«La presi male, ma i miei professori fecero bene: non studiavo, anzi non avevo mai studiato, e in terza fu un po’ l’anno clou. A maggio smisi persino di andare a scuola. Poi quello stop mi è tornato utile». Come?
«Il giramento di scatole nel vedere i miei ex compagni che andavano avanti, mentre io restavo indietro, mi ha messo fretta: mi sono messo in riga ed è stato tutto più facile, mi sono diplomato senza problemi». Dopo il diploma, è arrivata anche la laurea.
«Sì, in antropologia culturale. Ma c’è un altro aspetto: quando ripetei la terza, per un anno campai di rendita, in classe si facevano tutte cose che avevo già sentito. E avevo più tempo. Fu allora che cominciai a divertirmi facendo i miei primi video, le mie prime video storie. Lì è nata quella passione…».
Una bocciatura come trampolino di lancio, per arrivare fino a Le Iene… «Non è comunque bello perdere un anno, specialmente a quell’età. All’università è più facile, lo assorbi meglio. Ne avrei fatto volentieri a meno». E oggi è ancora giusto bocciare?
«Io ho due figli che vanno al liceo, non auguro loro di fare la mia stessa fine. D’altronde hanno risultati un po’ altalenanti, ma vanno benino. Non dovrebbero essere a rischio, o almeno lo spero».
La politica ora si interroga sull’opportunità di eliminare la bocciatura. Non è la strada da prendere?
«Sarebbe sbagliato eliminare le bocciature: quando inizi un percorso gli obiettivi vanno raggiunti; se non lo fai, è normale che tu debba ripartire dal punto di partenza. È così che funziona nella vita».
E se i figli si lamentano degli insegnanti, di chi è giusto prendere le parti?
«Del professore, sempre. Io sono figlio di una maestra, che viene da una dinastia di maestre: ho imparato che l’insegnante va rispettato, ho visto la passione che ci metteva, lei, le sue sorelle, mia nonna... E se un professore ti dà un 4 vuol dire che te lo sei meritato».
Quando inizi un percorso gli obiettivi vanno raggiunti, se non lo fai è normale che tu debba ripartire dal via. È la vita.

«MEGLIO CAMBIARE, CONTA IL LEGAME TRA PRIMI E ULTIMI»

di Carmela Adinolfi

Nevio Santini, 68 anni, è un ex allievo di don Lorenzo Milani. Uno di quei tanti ragazzi che a partire dagli anni ‘50 animarono e si formarono alla scuola di Barbiana. La scuola dell’«I care», tradotto del «Mi sta a cuore»: il motto che contraddistingue quell’esperienza didattica e pedagogica, nata e maturata a Vicchio, nel Mugello, dove don Milani arrivò nel 1954. Una scuola dove al posto dei compiti c’era la scrittura collettiva, dove invece delle punizioni e della bocciature ci si allenava al dialogo.
Santini, alcuni docenti fiorentini hanno fatto appello, dalle pagine del Corriere Fiorentino al presidente del Consiglio Matteo Renzi affinché riveda le misure — abolizione alle primarie e riduzione alle medie delle bocciature, un numero minore di prove finali — previste nel decreto legislativo sulla valutazione scolastica.
«Peccato. Io per ora vedo di buon occhio questo decreto. Mi sembra un passo, il primo, verso un modello di scuola diverso».
Presidi e professori sostengono che eliminando i voti e la possibilità di bocciare si fa un danno sia ai ragazzi che ai docenti.
«Perché hanno una concezione sbagliata della bocciatura. Basta cambiare paradigma. Ogni volta che si boccia un ragazzo non si compie un atto negativo solo nei confronti del destinatario del provvedimento ma del gruppo classe all’interno del quale è inserito». Cosa intende?
«Vede, la missione di ogni insegnante, così come lo intendeva don Milani, non è preoccuparsi del primo ma dell’ultimo e insegnare al primo della classe — il secchione lo chiameremo oggi — ad aiutare il compagno che è rimasto indietro. Bocciandolo, il professore non permette ai ragazzi di comprendere il valore dell’aiuto reciproco».
La bocciatura impedisce di misurarsi con il valore della solidarietà?
«Sì, in sostanza è così. Agli svogliati devi dare uno scopo, così vedrai che si appassionano, ripeteva don Milani». Quindi non è un metodo educativo? «No, affatto».
In una scuola che spesso si trova a dover gestire le ingerenze dei genitori e le sentenze della magistratura, alcuni docenti pensano che questo decreto possa contribuire a deresponsabilizzare i ragazzi. È un pericolo reale?
«No, non credo. È vero che la scuola è cambiata. E insieme ad essa i rapporti tra insegnanti e genitori. Ma i ragazzi, in fondo, sono sempre gli stessi. I professori devono agire pensando di avere davanti delle anime a cui mostrare il mondo. Un po’ come faceva il don Lorenzo».
La missione di ogni insegnante, come diceva don Milani, è insegnare al primo ad aiutare chi è rimasto indietro.

giovedì 20 ottobre 2016

LETTERA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: SCUOLA PIÙ FACILE O SCUOLA PIÙ SERIA?


 Possiamo avere gli insegnanti più appassionati,
i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta
se voi non tenete fede alle vostre responsabilità.
(Barack Obama agli studenti americani)
Gentile Presidente Renzi,
come insegnanti e come cittadini sentiamo la responsabilità e l’urgenza di scriverle su un’importante questione riguardante la scuola, il cui buon funzionamento, come Lei ha spesso sottolineato, è decisivo per il futuro del Paese.
Di recente sono stati anticipati i punti più importanti del decreto legislativo sulla valutazione. Dobbiamo purtroppo constatare che anche questo provvedimento è ispirato al principio base della pedagogia ministeriale degli ultimi decenni: facilitare sempre di più il percorso scolastico, minimizzare o ridurre a un pro forma i momenti di verifica. In sintesi si prevede:
-    l’abolizione delle bocciature nella scuola primaria, oggi rarissime (forse il 2 per mille) e sicuramente ben ponderate nell’interesse del bambino, anche perché consentite solo con l’unanimità del Consiglio di classe. Nella scuola media saranno possibili solo in casi eccezionali. Ma eccezionali già lo sono; e certo non decise a cuor leggero.
-    la riduzione del numero di prove scritte nei due esami di Stato: da cinque a due in terza media, da tre a due nell’esame di  “Maturità”;  per il quale  si ipotizza anche il ritorno alle commissioni tutte interne;
-    l’abolizione del voto numerico in tutto il primo ciclo e il ritorno alle mai rimpiante lettere, per “evitare di limitare l’azione valutativa alla mera registrazione del successo o dell’insuccesso di ogni giovane allievo”. Dove si fa passare l’idea che gli insegnanti si siano comportati finora come notai, non interessati  a incoraggiare e a valorizzare gli allievi.
Nell’ultima puntata di “Politics” su Raitre, Lei ha giustamente affermato che  si è perso il rispetto sociale per la figura degli insegnanti. Di conseguenza si è indebolita agli occhi degli studenti la loro autorevolezza, essenziale per la relazione didattica e educativa. Questa svalutazione è testimoniata dalla sempre più aggressiva interferenza di molti genitori nelle questioni di competenza dei docenti, così come da molte sentenze della magistratura, che spesso appare pregiudizialmente dalla parte degli studenti e delle loro famiglie, a sostegno di rivendicazioni di ogni tipo, anche prive di fondamento. È una deriva che si deve anche a documenti ministeriali e dichiarazioni di pedagogisti che in modo ideologico e semplicistico addebitano agli insegnanti la responsabilità di qualunque insuccesso scolastico. Manca sempre, e il testo di questo decreto non fa eccezione, un qualsiasi richiamo al contributo di responsabilità e di impegno degli allievi, senza di cui non c’è possibilità di vero “successo formativo”. In altre parole manca la consapevolezza che se la scuola vuole essere un “ascensore sociale” per i ragazzi economicamente e culturalmente svantaggiati, è indispensabile che sia seria e rigorosa sia sul piano didattico che su quello educativo.
Negli ultimi anni abbiamo spesso letto e commentato con i nostri allievi lo splendido discorso che il Presidente Obama rivolse agli studenti americani nel settembre del 2009, in occasione del primo giorno di scuola, e il cui senso può essere riassunto dalla frase in esergo. Ci piacerebbe molto che gli studenti italiani potessero finalmente ascoltare parole come queste.
Grazie, Presidente, per la Sua attenzione.

Valerio Vagnoli          Dirigente Scolastico Alberghiero Saffi
Sergio Casprini          Insegnante di Storia dell’arte          
Andrea Ragazzini      Insegnante di Storia dell’arte
Giorgio Ragazzini     Insegnante di Lettere nella scuola media
(“Corriere Fiorentino”, 20 ottobre 2016, p. 1)
  

mercoledì 12 ottobre 2016

CONFRONTO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE DAVANTI AGLI STUDENTI: L’ESEMPIO DEL “SAFFI”

Di fronte a una platea di duecentosettanta studenti dell’Istituto alberghiero “Saffi” di Firenze (quelli maggiorenni che potranno votare il 4 dicembre), i professori Paolo Caretti e Carlo Fusaro, noti studiosi della Costituzione, hanno spiegato le ragioni del “no” (il primo) e quelle del “sì” (il secondo). Con passione, certo, ma neppure una volta utilizzando le armi della faziosità che dominano nel dibattito televisivo e sui “social”: la caricatura, il processo alle intenzioni, il sarcasmo (solo qualche garbata ironia, siamo in Toscana), la denigrazione dell’interlocutore, tanto meno l’insulto. Insomma, una doppia lezione di educazione civica: sulle modifiche alla Costituzione, ma anche su come si può discutere rispettando l’interlocutore. Un esempio che altre scuole potrebbero seguire, anche considerando quello che alcuni dei ragazzi hanno ammesso: di saperne molto poco.
Il servizio sul “Corriere Fiorentino”: http://jmp.sh/Twtu163

domenica 9 ottobre 2016

CHE ERRORE, MINISTRO, UNA SCUOLA CHE SI PIEGA DAVANTI AI VIOLENTI

("Corriere Fiorentino", 9 ottobre 2016)
Gli studenti italiani scesi in strada venerdì scorso agitavano allo stesso tempo, come ha scritto Sabino Cassese, “speranze smisurate e speranze ragionevoli”, facendo non poca confusione tra le une e le altre. I motivi per protestare non mancano in nessun settore della società. In democrazia per fortuna molto è lecito: anche (anzi soprattutto) che protestino delle minoranze estreme (sia chiaro, infatti, che a Firenze ieri l'altro non hanno protestato “gli” studenti: lo ha fatto qualche centinaio di loro, mentre il resto dei loro compagni era a scuola). Quello che non può essere lecito è consentire a esigue minoranze di usare forme di violenza, per le quali non vengono chiamati a rispondere, forse nell’illusione che così non ve ne saranno altre e magari di peggiori. Perciò di anno in anno molti ragazzi costruiscono la loro formazione umana e culturale nella convinzione che tutto sia lecito. Così stando le cose, si consuma l’idea che la democrazia è fatta di diritti, ma anche di doveri; e tra questi quello di rispettare il diritto allo studio, di cui si fanno portavoce anche quelli che tentano di entrare in un liceo sfondandone il portone per interrompere le lezioni e occupare le aule. Da anni però si evita che simili episodi abbiano delle conseguenze per i responsabili; e quando la protesta sfocia in violenza, le autorità, in primis quelle scolastiche, trattengono il fiato in attesa che passi 'a nuttata; o invitano al “dialogo”, che non sempre è un modo per fare chiarezza e per rendere consapevoli i giovani dei loro errori. Talvolta è solo il giunco che si piega in attesa che la piena passi. Probabilmente un pensiero analogo ha ispirato la ministra della Pubblica istruzione, che di fronte alle  manifestazioni e agli atti di violenza ha subito fatto sapere che è pronta a incontrare gli studenti e a dialogare con loro. E questi si saranno a ragione convinti che più non si rispettano le leggi e più aumenta il loro potere contrattuale. Ma cosa vuol far credere la ministra a questi ragazzi? Che forse non conosce quali siano i problemi concreti della scuola italiana e che il loro contributo è importante per meglio individuarli e saperli risolvere? Siamo seri! Inoltre con i giovani, gentile Ministra, si deve sempre essere disponibili, ma solo fintanto che si comportano responsabilmente. Quando ciò non accade e la contrapposizione, salutare e indispensabile alla creazione di futuri cittadini maturi e in grado di pensare con la propria testa, sconfina nella violenza, si deve poter contare su adulti in grado di prendersi le loro responsabilità di educatori e di rappresentanti delle istituzioni che siano in grado, se non di indignarsi, almeno di saper dire dei no decisi ed educativi. Né la risposta può essere quella di una scuola sempre più facile e “comprensiva”. Un ministro della Pubblica Istruzione dovrebbe invece dire ai giovani quanto scrive Maurizio Viroli nel suo ultimo libro. E cioè che “un popolo composto di individui che credono nei diritti, ma non sanno praticare i doveri, non è una comunità di persone libere, ma una moltitudine dove impera la legge del più forte e dove i deboli, quale che sia la ragione della loro debolezza, hanno soltanto il diritto di rassegnarsi a non avere diritti”. Se queste parole, se non proprio le stesse, ma almeno i medesimi concetti avessero ispirato la “pedagogia” di gran parte dei ministri della Pubblica istruzione, forse avremmo un Paese diverso e dei giovani in grado di farci meglio sperare per il loro futuro.

Valerio Vagnoli

mercoledì 5 ottobre 2016

PRESENTATO IL PIANO NAZIONALE PER L’AGGIORNAMENTO. MA GLI INSEGNANTI DOVRANNO SOLO APPRENDERE?

Nelle linee guida della Buona scuola del settembre 2014 si trovava per fortuna anche una critica severa di come era stato in genere dispensato l’aggiornamento dei docenti. Occasioni formative “troppo spesso frontali, poco efficaci e in genere non partecipate”, dove è mancato quasi sempre “un confronto interattivo”.  Si sarebbe dovuta favorire la definizione a livello di ciascuna scuola dei programmi formativi, senza più calarli dall’alto. Vanno superati, si aggiungeva, gli “approcci formativi a base teorica” e valorizzata la “forma esperienziale tra colleghi”. In un post del 2 ottobre di quell’anno, scrivemmo che si trattava di “asserzioni non molto lontane da quanto abbiamo sostenuto in più occasioni: la base dell’aggiornamento (senza escludere altre forme e apporti) deve essere il confronto di idee e di esperienze tra colleghi con il metodo seminariale, cioè tra pari, e nascere dalle loro  reali esigenze”.
Nel piano nazionale presentato ieri dalla ministra Giannini, si conferma che i programmi di aggiornamento a livello di istituto dovranno basarsi sulle esigenze formative espresse dai singoli; però, a quanto riferiscono i giornali, nulla si dice su uno strumento fondamentale da rendere operativo in tutte le scuole, che è per l’appunto il lavoro seminariale. Finora gli insegnanti sono stati spesso trattati come le oche da ingrassare in vista del fois gras: ingozzandoli di teorie confezionate nel ministero e nel para-ministero: università, case editrici, sindacati. “Saranno finanziate le migliori start up della formazione", si annuncia. Ma se l'aggiornamento, con i dovuti criteri di serietà, le scuole volessero almeno in parte autogestirlo con le risorse interne, non verrà considerato valido? Sarebbe invece l'ora di riconoscere che esiste anche nella scuola, e non solo nelle agenzie formative, una ricchezza inesplorata di esperienze positive, stili di insegnamento, competenze; e che la maggioranza degli insegnanti ha qualcosa di utile da condividere con i colleghi. Solo docenti valorizzati nel loro essere esperti di insegnamento potranno ritrovare le motivazioni necessarie ad assolvere il loro compito.
Giorgio Ragazzini