“Perché leggiamo ancora la Commedia nell’anno 2017?” A questa domanda
Claudio Giunta, concludendo un recente articolo-recensione sul “Sole 24 Ore” a
proposito dell’attualità o meno di Dante, propone “una risposta molto più
pedestre” di quelle ipotizzate nelle righe precedenti. Che è questa: “Perché
così hanno deciso centocinquant’anni fa coloro che hanno scritto i programmi
della scuola italiana postunitaria” (su questo saggiamente seguiti, aggiunge,
dalle attuali Indicazioni nazionali per
il curricolo scolastico). Risposta che me ne ha ricordata un’altra, quella che
detti a una mia allieva di seconda media che mi aveva chiesto “Ma a che serve
studiare la storia?” Al che tagliai corto dicendo (immagino con un sorrisetto
ironico): “A essere promossi in terza media”. Come quasi tutte quelle dello
stesso tipo, la sua non era infatti una vera domanda, voleva in realtà dire “la
storia non mi piace” (e forse, come conseguenza, non serve a nulla...). Dunque,
prenderla alla lettera e lanciarsi in una perorazione della fondamentale
funzione di
farci-conoscere-il-passato-per-comprendere-il-presente-e-progettare-il-futuro
sarebbe stato inutile. Un alunno interessato a una materia non sente il bisogno
di sapere a cosa serve, così come un bambino che ascolta rapito una fiaba non chiede
il motivo per cui gliela raccontiamo. L’insegnante, quindi, oltre a fare il possibile
per interessare i suoi studenti, dovrà però combattere l’idea – figlia di
un’educazione preoccupata di accontentare sempre e comunque i figli – che la
scuola sia simile a un self service in cui si mangia solo ciò che ci piace, per
di più evitando di assaggiare ogni tanto qualcosa di nuovo. Negli sport fatti
seriamente l’allenatore impone ai suoi ragazzi esercizi faticosi, però essenziali
per una pratica che dia poi soddisfazione. Così la scuola non può (non
dovrebbe) fare a meno di esigere un impegno costante in tutte le discipline,
attraenti o meno che siano per ciascun allievo. “Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non
farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così
fondamentali,” ammonì Barak Obama nel suo
grande discorso
del 2009 agli studenti, mettendo in evidenza la responsabilità di ciascuno di
loro rispetto alla propria formazione.
Ma c’è di più: tutte
e due le risposte apparentemente “pedestri” alle domande sull’attualità di
Dante e sull’utilità di studiare la storia sottintendono la considerazione
dovuta al patrimonio culturale della nazione, come selezionato e aggiornato nel
corso del tempo. Un patrimonio, dunque, non intangibile, e anzi inclusivo (è un
tratto specifico della cultura occidentale) della capacità di revisione critica
delle idee ricevute; ma non va neppure incoraggiata nei ragazzi la pretesa di
mettere in discussione quello che la scuola “consegna” alle nuove generazioni. Ogni
insegnante è in un certo senso, per conto della collettività, il garante dell’importanza
di ciò che insegna. Più ne sarà convinto, più sarà convincente e autorevole per
i suoi allievi.
Giorgio Ragazzini